PALERMO – Al momento siamo ancora nell’ambito delle ipotesi e delle indiscrezioni. Come quella rilanciata in questi giorni da Panorama, per la quale Matteo Renzi avrebbe in mente di lanciare Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, per la corsa a governatore della Sicilia l’anno prossimo. Solo un rumour, certo, ma verosimile. Che merita una riflessione sull’inguaribile malattia del centrosinistra siciliano, quella di vivere di simboli. Da anni ormai l’area politica che oggi è rappresentata dal Pd vive prigioniera dei suoi simboli, della sua retorica e dei suoi “santini”. Senza riuscire a costruire una classe dirigente che per profilo possa ambire legittimamente a governare in forza della sua esperienza o che magari possa ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama politico nazionale, dal quale la Sicilia, e soprattutto i siciliani di centrosinistra under 65, sono da tempo immemore scomparsi.
E così, quando c’è da tirar fuori il nome per giocarsi la partita per Palazzo d’Orleans, la tentazione della scorciatoia del santino, del nome-simbolo, della retorica dei valori preferita al curriculum amministrativo e politico, torna puntuale dalle parti del Pd. Quello stesso riflesso pavloviano che partorì le candidature di Rita Borsellino (perdente) e Rosario Crocetta (vincente, con esiti per lo meno discutibili). Allo scorso giro, quattro anni fa, il rifugio sicuro è stato quello dell’antimafia, quella con lo spillino, quella sorta di circoletto per iniziati in cui parte del movimento, dopo i suoi anni più genuini, preziosi e luminosi, si era trasformato. Oggi che la metamorfosi è stata ormai smascherata e l’urgenza è semmai quella di salvare l’antimafia perché non si butti il bambino con l’acqua sporca, tocca pescare altrove al centrosinistra in cerca di santini.
Soccorre Lampedusa, meravigliosa immagine del meglio della Sicilia, dell’accoglienza e dell’umanità che si contrappongono alla paura della vecchia Europa. Una storia davvero luminosa, come luminosa nella buona fede dei tanti era l’antimafia della prima ora. Una storia che ha anche il volto di Giusi Nicolini, donna seria e caparbia, amministratrice interprete di quel mood lampedusano che sta trovando ormai sempre più aedi. Il vecchio schema dell’antimafia e del nome-simbolo quindi potrebbe ripetersi su uno spartito nuovo. Investendo il sindaco di un piccolo paesino di un compito titanico come la guida di una inguaiatissima Regione da cinque milioni di abitanti. Scelta legittima ma certo anomala per un partito che da un pezzo sta al governo con le sue prime linee. Pescare il jolly dell’uomo o della donna simbolo (e fuori dal giro) sembra ammettere implicitamente che in un’intera classe dirigente siciliana, che da anni, con Lombardo prima e con Crocetta poi, ha in mano la Regione, non c’è un nome uno, in grado di raccogliere la sfida.