PALERMO – Reo confesso, calunniatore o, peggio ancora, depistatore? La collaborazione di Antonino Siragusa spariglia le carte. Il contrasto con le dichiarazioni di Francesco Chiarello, uno che la patente di pentito ce l’ha già in tasca, è evidente. Tocca ai pubblici ministeri capire se Siragusa stia offrendo un contributo genuino oppure stia solo cercando di inquinare l’inchiesta. Collaborazione vera oppure tentativo disperato di evitare una condanna all’ergastolo con un racconto infarcito di bugie? Oppure, ed è la terza possibilità, volontà di creare confusione per azzoppare un’indagine per la quale i pubblici ministeri hanno già ottenuto che i sei indagati siano processati con il giudizio immediato previsto solo quando le prove vengono ritenute evidenti?
Siragusa chiama in causa se stesso, accusa Antonino Abbate e Salvatore Ingrassia, ma scagiona Francesco Arcuri, Francesco Castronovo e Paolo Cocco. E cioè il presunto mandante e i presunti esecutori materiali del delitto. È vero, si autoaccusa di avere partecipato alla spedizione punitiva, ma si attribuisce un ruolo solo nelle fasi preparatorie. Al contrario di Chiarello che lo accusa di avere preso parte al pestaggio. Il pentito dice di avere saputo da Francesco Castronovo che Siragusa e Salvatore Ingrassia avevano preso a pugni e calci l’avvocato prima che Castronovo iniziasse a colpirlo con il bastone. Nella sua versione Siragusa riferisce di essere rimasto in macchina, mentre Abbate “era quello che materialmente ha colpito l’avvocato”. Abbate che nel racconto di Chiarello si era limitato a dare il via al pestaggio, riconoscendo il penalista: “Iddu è… e poi se ne va”. Della presenza di un solo uomo che picchiava la vittima hanno parlato i testimoni dell’aggressione, mentre Chiarello ha piazzato più persone sulla scena del crimine.
Siragusa non ammette solo di avere fornito appoggio logistico durante l’agguato di via Nicolò Turrisi, ma confessa anche il suo ruolo nella fase preparatoria: ha recuperato il “bastone del piccone” usato per l’aggressione e ha chiamato lo studio Fragalà da una cabina telefonica per capire “l’orario in cui andava via l’avvocato”. La versione di Siragusa complica di parecchio la posizione di Abbate e scagiona Castronovo e Cocco (“Non hanno partecipato all’azione”) a cui Chiarello attribuisce un ruolo decisivo: il primo impugnava il bastone e Cocco era al suo fianco.
Si tratta della divergenza più netta. E non è poco. La fonte di Chiarello sarebbero stati Ingrassia e soprattutto Castronovo che la sera del pestaggio andò a trovarlo a casa con i vestiti ancora sporchi di sangue e confessò ciò che aveva fatto. Ad ascoltarlo c’erano il pentito e la moglie. Castronovo è stato l’unico a rispondere alle domande del giudice subito dopo l’arresto. Ha negato il suo coinvolgimento nell’omicidio. Chiarello si sarebbe vendicato perché Castronovo aveva una relazione sentimentale con la moglie. E qui entra in gioco il ruolo della donna, Rosalia Luisi. Perché se Chiarello mente, la moglie ne conferma le bugie. Nessuna relazione, il marito e Castronovo erano grandi amici, tanto che Chiarello aveva tentato di salvarlo nascondendo le sue responsabilità nei primi interrogatori. Ecco cosa mette a verbale la donna: “La sera del pestaggio venne a mangiare da noi… era tutto sporco di sangue…. lui dice… no ‘sicuramente questo sarà morto’ però non indicando chi… era sconvolto… ‘sicuramente è morto’, dice ‘l’ho ammazzato’… mio marito si è messo le mani in faccia…”.
Non solo: le microspie piazzate nella sala colloqui del carcere Pagliarelli di Palermo hanno registrato i suoi rimproveri al marito: “… ma che hai combinato, hai coperto a quello hai coperto…. hai mentito del coccodrillo (è il soprannome di Castronovo, ndr) perché se tu mi dicevi a me che hai mentito del coccodrillo succede il bordello.. perché se io do una versione tu ne dici un’altra… cioè la dici e non ci metti a lui che fa babbii”. Sul punto hanno tuonato i legali delle difese, che hanno sempre bollato come inattendibile Chiarello. Si sarebbe costruito una verità, d’intesa con la moglie, frutto di mille “sentito dire” in un quartiere dove era inevitabile che tutti fornissero la propria ipotesi sul delitto.
Anche la divergenza sulla presenza o meno di Cocco, genero di Ingrassia, è netta. Siragusa esclude la sua partecipazione, in contrasto con una delle prove principali dell’inchiesta. Una prova che non arriva dai racconti di pentiti e dichiaranti. Sono state le microspie a raccogliere in diretta la “confessione” di Cocco che diceva alla moglie, senza sapere di essere intercettato: “Per il fatto dell’omicidio può essere che poi mi vengono a cercare… che c’ero pure io esce”; “Giura?”; “Giuro”. Ma che cazzo stai dicendo…”; “Il compleanno non lo festeggeremo, ti giuro…”; “Le chiavi possono buttare. Mi hai sconvolta Paolo”. Perché mai, se davvero non prese parte all’omicidio, Cocco avrebbe dovuto pronunciare queste parole?
Anche sul bastone, mai ritrovato, c’è divergenza. Secondo il racconto di Chiarello, sarebbe stato proprio Cocco a portarlo in via Turrisi e poi sarebbe stato gettato nel deposito di un rivenditore di pedane in legno nella zona del Papireto. Siragusa, invece, si accolla la responsabilità di avere recuperato la mazza di legno, poi bruciata in un cassonetto della spazzatura in una traversa di via La Farina.
Univocità, invece, c’è nei due due racconti sul fatto che Arcuri non fosse presente sul luogo del pestaggio. Solo che Chiarello gli assegna il ruolo di mandante. Siragusa, invece, nulla sa di movente e mandanti. Scagiona Arcuri nonostante avrebbe avuto un motivo per inguaiarlo visto che era l’amante di sua moglie.
La telefonata allo studio Fragalà prima dell’aggressione e le fiamme del cassonetto potrebbero essere i primi due elementi riscontrabili del racconto di Siragusa. Un punto di partenza per verificarne l’attendibilità.