Il respiro nuovo della politica non si sente. Non c’è. Non ci vuole molto per accorgersene, basta scorrere l’elenco dei papabili candidati alla Presidenza della Regione. Nell’ultimo ventennio il tempo della politica è stato scandito dal dibattito sul “cuffarismo”, inteso come categoria socio-politico-culturale. Quel “cuffarismo” combattuto, rinnegato e, nel caso di alcuni nostalgici, rimpianto. Neppure Mario Centorrino, che coniò il neologismo, avrebbe potuto immaginare che il “cuffarismo” sarebbe stato un sempreverde.
Chi sono i candidati di cui si parla dopo i cinque disastrosi anni del governo di Rosario Crocetta? C’è Dore Misuraca, che del governatore Cuffaro fu assessore al Turismo.
C’è Roberto Lagalla che, prima di diventare rettore all’Università degli Studi di Palermo, sempre di Cuffaro fu assessore alla Sanità.
C’è Giovanni La Via che non solo sedette in una delle giunte Cuffaro ma ne raccolse il testimone alla guida dell’Agricoltura dove il governatore, condannato per avere favorito la mafia, costruì consenso e fortune politiche.
C’è Giampiero D’Alia, a cui un paio di mesi fa lo stesso Cuffaro ricordò, a mezzo stampa, che l’ultima volta che “mi sono interessato di D’Alia è stato quando, nel 2008, ero già stato condannato in primo grado, e da capolista al Senato ho fatto sì che la Sicilia fosse l’unica regione dove l’Udc superasse il quorum ed eleggesse tre senatori tra cui lo stesso D’Alia che era dopo di me”.
L’unico nome che sfugge alla regola del “cuffarismo” è quello che si sussurra in casa Pd dove si pensa a Caterina Chinnici. Persona seria, perbene e preparata ma neppure lei è il nuovo che avanza. Prima di approdare all’Europarlamento fu, infatti, assessore di un altro governo chiacchieratissimo, quello guidato da Raffale Lombardo. Il dopo Cuffaro che per alcuni fece rimpiangere il suo predecessore. Punti di vista.
Dov’è il respiro nuovo della politica tanto agognato? Non c’è. A meno che non si arrivi ad ammettere che si stava meglio quando si stava peggio. In tal caso ci si dimenticherebbe colpevolmente che nel passato c’è una macchia indelebile, quella della mafia. Non resta allora che interrogarsi perché mai la politica non sia riuscita ad andare oltre la categoria del “cuffarismo”.