GELA (CALTANISSETTA) – Dall’affare del pesce arrivavano fiumi di soldi. Secondo l’accusa, brindavano, seduti allo stesso tavolo, Salvatore Rinzivillo e Giuseppe Guttadauro. Il primo, boss incontrastato di Cosa Nostra a Gela, torna dietro le sbarre col blitz di ieri “Druso” ed “Extra fines”; per il secondo, u dutturi lo chiamano, mezza vita tra le corsie del Civico di Palermo, prima di diventare capomafia a Brancaccio, e la restante in carcere, al momento nessuna misura cautelare.
L’ombra di Guttadauro torna nell’inchiesta che la Dda della Capitale e quella di Caltanissetta hanno portato a termine con 37 arresti. A capo di un’organizzazione mafiosa il “reggente” gelese che si interessava al mercato ittico di mezza Sicilia, giungendo fino a Roma e Milano, grazie a contatti eccellenti. Tra questi spunta, appunto, il medico-boss che lasciato il carcere si era trasferito a Roma. Lo stesso aveva fatto Salvatore Rinzivillo che i fratelli Antonio e Crocifisso, ora al “carcere duro”, avevano indicato come successore della cosca di Gela.
Una mente fine. Fiutava affari milionari. E aveva messo gli occhi sul mercato del pesce siciliano raggiungendo accordi con importanti esponenti della mafia di Palermo. Con loro aveva accordato la spartizione del territorio per il commercio dei prodotti ittici, che arrivava persino dal Marocco. Attraverso società fantasma, sostengono sempre gli inquirenti, reimpiegava proventi illeciti derivanti da attività criminali. Erano una “potenza di fuoco”. L’accusa riconosce a Rinzivillo e ai suoi uomini un “dinamismo criminale assoluto”. Un episodio lo dimostrebee meglio di altri: il clan del boss gelese avrebbe organizzato un’aggressione allo scopo di rubare un orologio dal valore di 40 mila euro.
Uno spirito imprenditoriale col quale tendeva ad allargare ed unire la sua famiglia in Sicilia con i palermitani che vivevano a Roma. Ed è proprio da questo sodalizio che salta fuori il nome di Guttadauro il cui fratello Filippo è cognato del superlatitante Matteo Messina Denaro. In una telefonata è il figlio del boss di Brancaccio, Francesco, che assicura “patti chiari e amicizia lunga”. Dall’altra parte della cornetta c’era Carmelo Giannone, gelese, arrestato assieme con il figlio Alessandro. Era tramite questi due imprenditori del pesce che Rinzivillo si infiltrava nel mercato del settore. Avevano stretto un “patto mafioso” che gli consentiva di controllare la loro azienda. Quello con Guttadauro e il figlio, una delle menti fine di Cosa Nostra a Palermo, è solo uno dei numerosi contatti che il reggente gelese intratteneva nel suo milionario giro d’affari.