PALERMO – La ricostruzione di poliziotti e magistrati supera il vaglio del Tribunale del Riesame. Restano in carcere i tre indagati per l’assalto a un portavalori con bottino da un milione e 600 mila euro. Respinta la richiesta di scarcerazione di Giovanni Giotti e Carmelo Balsameli. Va ai domiciliari, invece, Marco Marsala (difeso dall’avvocato Calogero Vella), indagato per una tentata rapina alle poste.
La guardia giurata Giotti è considerato il basista del colpo messo a segno nel 2016 in via Salvatore Puglisi.Un commando prese di mira il blindato di una società privata di sicurezza stava raccogliendo gli incassi di diversi negozi.
“Non avevo dato l’ok di aprire il portellone e fare scendere il portavalori”, ha detto un collega di Giotti dando il via all’inchiesta. Secondo l’accusa, l’indagato era d’accordo con gli altri componenti del commando, ma avrebbe recitato la parte della vittima. Era tutta una finzione, a cominciare dalle parole “apri, apri, altrimenti li ammazziamo” che gli furono rivolte dai malviventi. Il portellone del furgone era già stato aperto. I rapinatori immobilizzarono i colleghi di Giotti, che fu trovato accasciato sul sedile del guidatore. Diceva di stare male. Eppure rifiutò di andare in ospedale.
Ai poliziotti della Mobile la guardia giurata disse che il collega gli aveva fatto “un gesto col capo, facendomi intendere che potevo aprire. Io, pertanto, aprivo il portellone… mi ha detto un sacco di parolacce, minacciandomi di morte se non avessi aperto la cassaforte. Io mi rifiutavo e lui mi ha colpito alla nuca”.
Il 9 settembre 2016, un mese dopo la rapina, squillò il telefono di Balsameli. Restò aperto per errore e le microspie registrarono quella che viene definita “una confessione in diretta”. Si parlava della spartizione del bottino: “Dopo che ci sono i dieci di Giotti… dice senti, dice senti questo ragazzo è un metronotte… questi sono i soldi… Giotti pigghiò… io al metronotte gli ho levato quindicimila euro gli ho levato al metronotte io…”.
Balsameli dimostrava di essere a conoscenza del colpo sin dalle fasi della pianificazione. Citava nomi e soprannomi di due personaggi ancora da identificare, sui quali continua a lavorare il pubblico ministero Federica La Chioma. Un uomo del quartiere Noce di Palermo, soprannominato “u’ luongu” insieme a Giovanni “u’ Mussu”, l’anno precedente si era recato da lui in compagnia di un “metronotte”. “u’ Luongo”, però, aveva rifiutato “la situazione” rinviandola all’anno successivo, anche se il metronotte (“il picciotto”) aveva insistito: “Ricordati che tutti e due facevamo la fame e ci compravamo le sigarette queste…te le devi ricordare queste cose. Ricordati che noi ci facevamo la fame tutti e due – spiegava Balsameli – non te lo scordare, ed io non ti posso tradire mai a te. Vedi che sono venute persone della Noce, u signor luangu, venne fin qua dalla noce… è venuto Giovanni u mussu da me a casa. Dice senti, dice senti questo ragazzo è un metronotte… poi ti dico una cosa, gli dici al signor lungo, che questa persona per come lo conosco io, davanti a me gli ha proposto da u luangu, questa situazione. E u luangu gli ha detto no, se ne parla tra un anno. Ed allora gli ha detto quel picciotto davanti a me, allora io vado avanti. E lui gli ha detto puoi andare avanti.
Infine, Balsameli confermava di avere ricevuto una parte del bottino. Una cifra che riteneva non congrua al lavoro svolto: “… ed io mi dovrei prendere trentaseimila euro io che ho fatto nottate ed ho buttato sangue dal cuore, a portare macchine, andare a prendere il furgone, rischiare la galera, sono andato a prendere le armi da mio padre. Ho dovuto garantire, gli ho tappato la bocca a quello a Rosario…”.