“Mi sono messo a ridere”. Mirello Crisafulli, già senatore, già “impresentabile” del Pd (da incensurato), già grande oppositore del patto tra il suo partito e Lombardo, già critico verso l’antimafia di Crocetta, ci scherza su, a suo modo, a proposito delle carte dell’inchiesta sul big confindustriale Antonello Montante. Tra le personalità oggetto di una illecita attività di ricerca di informazioni da parte del “sistema” guidato dall’industriale nisseno, secondo gli inquirenti, c’era anche il nominativo dell’ex senatore di Enna, che in quella stagione di potere fu un nemico. Il politico ennese, convalescente per un infortunio ma come sempre combattivo, oggi commenta quell’era con il suo consueto stile netto, analizzando lo stato di salute del suo Pd.
Che effetto le ha fatto apprendere che anche il suo nome era tra quelli che erano stati oggetto di una presunta illecita attività di “spionaggio”?
“Mi sono messo a ridere. Che io sia stato avversario di questo gruppo di comando che si era costituito in Sicilia è notorio. Sul piano politico mi sono battuto prima nella seconda fase del governo Lombardo, poi nei governi di Crocetta. Ho ritenuto che fossero condizionati da un potere estraneo alle istituzioni. Per quanto riguarda la mia vicenda personale non so se sentirmi lusingato, perché ero considerato importante, o se siamo al delirio di onnipotenza perché qualcuno si era messo un mantello di legalità. Che poi erano quelli che mi avevano messo tra gli imprensentabili”.
In effetti qui si fa avanti e indietro dalla linea tra i buoni e i cattivi con una certa velocità…
“Chi la tira, quella linea, di solito lo fa per proteggere se stesso, gli serve un’immagine pulita. Le vicende giudiziarie non le conosco e non mi appassionano. Sul piano politico c’è un potere occulto che assomiglia molto alla P2. Poi magari ci sono altri nominativi che sono andati distrutti in qualche pen drive, come leggo sui giornali. Ma verranno fuori. So che sul piano della morale politica viene fuori uno spaccato: chi si era autonominato tutore della legalità pubblica e alla fine ha dimostrato quanto lo era”.
Come valuta il quadro politico che emerge da questa vicenda, della quale gli aspetti penali ovviamente vanno vagliati nei luoghi e nei tempi opportuni?
“C’è un fatto etico. Qui si è piegata la politica, le istituzioni, tutto”.
Diciamo che emerge una certa debolezza della politica?
“Non c’è dubbio. Quando io feci l’opposizione a Lombardo, lui fece una operazione intelligente sul piano tattico ma dimostrò tutta la debolezza politica. In generale la politica sì è sbracata, avendo dei proprio dei politici come massimi teorici ed esponenti di questa strategia”.
Parla dei suoi avversari interni nel Pd?
“Io la guerra nel mio partito l’ho avuta da Confindustria e c’era chi nel mio partito la sosteneva e a capo di questa posizione c’erano personalità e dirigenti di primo piano del mio partito”.
Già, come esce il suo partito da questa storia?
“La politica in generale esce male. A parte i silenzi assordanti, che dimostrano che c’è debolezza e connivenza con questi mondi. Il mio partito esce non bene. E ci vuole anche una riflessione sulla battaglia antimafia, che è stata più una battaglia di copertura, di sbandieratori”.
Sì, ma accanto alle trame occulte che si sarebbero svolte nell’ombra, c’erano poi i limiti evidenti di quella stagione di governo, che emergevano con chiarezza, non trova?
“Sì, ma c’era un sostanziale appoggio a questa situazione. Io voglio bene ai giornali ma ricordo articoli pesanti su Confindustria solo dopo la prima notizia di reato”.
Ma del disastro di quel governo regionale, vicino a quel gruppo di comando, come lo chiama lei, si scriveva eccome. Già quello non era sufficiente per chiuderla molto prima questa storia?
“Sì, ma una parte del Pd lo diceva pure. Altri invece non lo dicevano. Anzi, si commissariavano gli organismi territoriali. Bisognava smantellare tutto quello che fosse riconducibile a questo territorio che si opponeva a un sistema”.
Come lo vede il Pd?
“Io non lo vedo: in questo momento c’è una sostanziale assenza dell’azione del Pd. Questa poteva essere anche un’occasione per ripensare al ruolo del partito e all’antimafia. Siamo rimasti attoniti sia per il risultato elettorale sia per queste vicende che svelano la debolezza complessiva del partito”.
Che prospettiva ha il Pd secondo lei?
“Il Pd deve prendere coscienza che certe stagioni quando si chiudono si chiudono. Quando Renzi si è dimesso abbiamo avuto un ottimo risultato in Friuli. Appena ha fatto una dichiarazione contro la trattativa con i 5 Stelle, in Val d’Aosta non abbiamo preso neanche un seggio. Lo capisco io che sono ‘montagnese’, qualcun altro avrebbe dovuto capirlo per tempo. Il partito deve imboccare una via nuova”.
Ma secondo lei il Partito democratico è destinato a scindersi come ipotizzano i giornali?
“Noi siamo bravi a fare la scissione anche dell’atomo, ricordiamoci di Rifondazione comunista. Abbiamo un’abilità innata. E questo riguarda anche coloro che con la tradizione marxista e leninista non hanno nulla a che vedere”.
Ma è possibile secondo lei?
“Mai dire mai, secondo me sarebbe una cosa ridicola. Noi abbiamo bisogno di una forza che aggreghi”.
Lei l’avrebbe fatta l’alleanza con i 5 Stelle?
“Io non l’avrei fatta. Ma il problema è se un partito vuole giocare una partita o no. Si entra nel merito delle questioni, la Tav, l’euro, queste cose avrebbero chiarificato la politica. Ci sono dodicimila voti perché il tuo partito assolva una funzione politica positiva, non è che possiamo fare gli offesi. Ah, se aveste votato come avevamo detto noi… E che ragionamento è? Mi pare che va fatto il congresso e capire se ci sono le condizioni per stare insieme”.
Secondo lei i renziani vogliono andarsene?
“No, secondo me vogliono mandare via gli altri. Ma la pianta della sinistra c’è sempre”.
Lei fu un kingmaker per Fausto Raciti quando divenne segretario regionale. Chi vedrebbe bene dopo di lui ora che farete il nuovo congresso?
“Non ho idea. Non so neanche se ce lo fanno fare il congresso. A Enna si doveva fare tre anni fa e siamo commissariati. Raciti è stata un’ottima soluzione, ma dall’indomani mattina è iniziato il gioco della delegittimazione, il tentativo di mettere fuori Confindustria lo fece Fausto ma fu immediatamente smentito da quanti sostenevano che il governo avesse non Raciti ma Confindustria protagonista. La stessa candidatura di Crocetta nasce come ci ha spiegato D’Alia in una cena a Villa Igiea senza il segretario del Pd, che allora era Peppino Lupo”.
Il Pd la subì quella scelta.
“Io ricordo che avevamo la direzione convocata e c’erano già i manifesti di Crocetta candidato, qualcuno aveva già dato il via libera. Tanti hanno motivo di rimproverarsi per quell’epoca, anche Bersani. Da Roma mi chiamarono per spiegarmi quant’era bella la soluzione Crocetta, erano folli. E successivamente anche i preposti territoriali dell’area renziana si sono subito sperticati a sostegno di quest’avventura”.