La sfrenata fantasia di Ciancimino | Tramonto dell'icona antimafia - Live Sicilia

La sfrenata fantasia di Ciancimino | Tramonto dell’icona antimafia

Massimo Ciancimino

L'unico passaggio che non ha convinto la Corte di assise è legato al figlio di don Vito.

PROCESSO TRATTATIVA
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PALERMO – I pubblici ministeri hanno “vinto” il processo sulla Trattativa. C’è un solo neo nella ricostruzione dell’accusa. L’unico passaggio che non ha convinto la Corte di assise è legato alla figura di Massimo Ciancimino, condannato a 8 anni per calunnia e assolto dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

La motivazione delle condanne, seppure di primo grado, segna il definitivo tramonto di quell’icona antimafia che per tanti anni è stato centrale nelle indagini della Procura, nei resoconti giornalistici e nei salotti televisivi.

“Il fatto non sussiste” perché l’inattendibilità di Ciancimino jr vale innanzitutto per il ruolo che si è cucito addosso. Gli va riconosciuto un merito, seppure indiretto: il clamore mediatico provocato dalle sue dichiarazioni, di certo non i fatti da lui riferiti – pensare il contrario sarebbe una “suggestione” – è servito a sollecitare “i tardivi ricordi di Claudio Martelli, Luciano Violante e Liliana Ferraro”. La memoria ritrovata non rappresenta, però, un “formidabile riscontro alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino” come ha sostenuto la Procura che fino alla fine ha creduto nel super testimone.

“È arduo discernere il vero dal falso”, scrivono i giudici nella motivazione, nella mole di dichiarazioni del figlio dell’ex sindaco di Palermo. Dichiarazioni segnate da “tratti di eclettismo e istrionismo”. Il testimone “muove da alcune (poche) conoscenze personali usate per imbastire una storia, in parte accaduta, disegnando per sé un ruolo da protagonista certamente incompatibile con il ruolo di mero esecutore di direttive del padre”.

Massimo Ciancimino, che sta scontando una condanna definitiva per la dinamite fatta trovate nel giardino di casa, in un tira e molla estenuante, ha consegnato ai pm palermitani materiale ritrovato, a suo dire, nello sterminato archivio del padre. Documenti di dubbia paternità, come i pizzini attribuiti a Bernardo Provenzano, se non addirittura falsi, come quello in cui fu annotato il nome di Gianni De Gennaro e che è costato la condanna per calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia. Fino a giungere al momento più alto della sua carriera di supertestimone, e cioè la consegna del documento dei documenti: “Ciancimino ha voluto rendere plastica la trattativa materializzandola nel papello”, scrivono i giudici. Il foglio di carta con le richieste dei boss allo Stato, scritto da Riina o chissà da chi, forse non è neppure esistito. Di certo, scrivono i giudici, “non è passato dalle sue mani”.

I documenti del padre sono divenuti per Massimo Ciancimino un “canovaccio su cui ha imbastito la sua storia”. Alcune cose da lui riferite erano vere, come i contatti fra i carabinieri del Ros e il padre, o il ruolo di intermediario con Totò Riina del medico Antonino Cinà. Su questi fatti, però, Ciancimino jr ha creato delle “sovrastrutture destinate a crollare” frutto di una “sfrenata fantasia”. La stessa fantasia che lo ha portato a ideare la figura del misterioso signor Franco, l’agente sporco e cattivo dei servizi segreti.

Se i pochi fatti veri da lui raccontati non possono cancellare la sua inattendibilità, allo stesso modo, secondo i giudici, “non si può però dire che i casi riscontrati non sono tali perché ne ha parlato l’inattendibile Ciancimino”. Al figlio di don Vito la Corte riconosce il merito del “risultato di avere stimolato il ricordo di testi fino ad allora silenti”, ma resta un testimone che per troppo tempo, e probabilmente più del dovuto, ha impegnato i pubblici ministeri palermitani.


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