Trattativa Stato-mafia, processo in Cassazione: ultimo atto?

Trattativa Stato-mafia, processo in Cassazione: ultimo atto?

Accusa e difesa davanti ai supremi giudici

PALERMO – Il processo sulla trattativa Stato-mafia approda in Cassazione. Potrebbe essere l’ultimo atto, ad oltre dieci anni dall’inizio dell’iter giudiziario, qualora i supremi giudici non dovessero accogliere il ricorso della Procura generale di Palermo. Oppure potrebbe arrivare il via libera, annullando con rinvio la sentenza, per un nuovo processo di secondo grado.

Il verdetto di appello

“Illogico” e “contraddittorio” sono stati gli aggettivi usati dall’accusa per definire il verdetto di appello del settembre 2021. Il ricorso lo hanno firmato la procuratrice generale Lia Sava e i sostituti Giuseppe Fici e Sergio Barbiera.

La Corte di Assise di appello di Palermo aveva ribaltando il verdetto di primo grado assolvendo “perché il fatto non costituisce reato” l’ex senatore Marcello Dell’Utri, gli ufficiali dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno.

Con la stessa sentenza il collegio presieduto da Angelo Pellino aveva ridotto la pena a 27 anni per il boss corleonese Leoluca Bagarella e confermato quella per il medico-boss Antonino Cinà (in primo grado – nel maggio 2018 – erano stati condannati a 28 anni Bagarella, a 12 anni Dell’Utri, Mori, Subranni e Cinà e a 8 anni per De Donno). Dichiarate prescritte le accuse al pentito Giovanni Brusca e a Massimo Ciancimino.

Le motivazioni

I giudici di secondo grado scrissero che la minaccia mafiosa ci fu. Le bombe esplosero nella stagione delle stragi del ’92-’93, provocando morte e distruzione. Ci fu anche la trattativa fra i boss e i carabinieri, ma non nei termini in cui è stata ricostruita dall’accusa.

Gli ufficiali del Ros – Mario Mori su tutti – si attivarono perché volevano fermare le stragi. Volevano “disinnescare” la minaccia mafiosa, dall’interno della stessa organizzazione criminale.

La “improvvida iniziativa” della trattativa da parte dei carabinieri aveva “fini solidaristici” ovvero “la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato“.

Fu avviato “un dialogo con i vertici mafiosi finalizzato a superare la contrapposizione frontale con lo Stato che i detti vertici mafiosi avevano deciso dopo l’esito del maxi processo e che era culminata già, in quel momento, con la gravissima strage di Capaci”.

I motivi del ricorso

“Sulla base della suddetta ricostruzione fattuale, la Corte di Assise di Appello – si leggeva nel ricorso per Cassazione – ha contraddittoriamente ed illogicamente assolto gli imputati Subranni, Mori e De Donno, sul presupposto erroneo che gli stessi abbiano agito con finalità “solidaristiche” e, comunque, in assenza del dolo – anche sotto forma della volizione eventuale e pertanto accettata – ovvero di aver agito per alimentare la spaccatura asseritamente già esistente (ut infra) in Cosa Nostra tra l’ala stragista e l’ala moderata, amplificando, oltremodo, i motivi dell’agire illecito, pacificamente, irrilevanti ai fini della connotazione dell’elemento soggettivo. Una tale valutazione non può essere condivisa, posto che, innanzi tutto, contraddice quanto dalla stessa Corte affermato in modo chiaro ed esplicito alla p. 12 71 della motivazione”.

Secondo la Procura generale, i “motivi solidaristici” sono un “argomento del tutto privo di agganci fattuali nella ricostruzione operata dal giudice di appello e totalmente assente anche nelle dichiarazioni rese dal Mori e dal De Donno”.

Oggi ci sarà l’intervento del rappresentante della Procura generale, poi l’arringa dei difensori. Il verdetto potrebbe arrivare in giornata.


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