PALERMO – “L’Italia è un paese ancora molto maschilista e questo purtroppo si riflette anche del mondo dell’attivismo Lgbt”. È qualcosa che non ti aspetti. Non ti aspetti che nel 2018, per la prima volta dal 1980, anno della sua fondazione, una donna sia candidata per la presidenza della più grande associazione per i diritti Lgbt d’Italia. In corsa per diventare la prima presidente donna di Arcigay c’è la palermitana Daniela Tomasino, già presidente di Arcigay Palermo. “Oggi alla guida dell’associazione cittadina c’è di nuovo una donna, Ana Vasile, che è pure romena. A Palermo siamo sempre fighi”, dice, scherzandoci su, ma in fondo lo crede davvero.
Come si vive qui a Palermo?
A Palermo si vive molto bene. Arcigay Palermo ha un nutrito gruppo di giovani ed è parlando con loro che capisco che in fondo qui si sta bene. Certo, c’è tutta una cultura da costruire, ma abbiamo dei margini. Mi fanno arrabbiare, piuttosto, le poche cose fatte a livello regionale, oppure lasciate a metà. Non abbiamo mai istituito la Commissione regionale Aids, per esempio, e anche quando abbiamo fatto qualcosa bene, come la legge contro le discriminazioni, abbiamo lasciato che diventasse un documento inutile perché non è mai stato approvato il regolamento applicativo. Inoltre, se mai ripartirà la Formazione professionale in Sicilia spero che ci saranno anche dei servizi per le categorie a maggiore rischio marginalizzazione, come le persone Lgbt, i trans, o i rom.
Già, lei è anche una ex dipendente della Formazione professionale siciliane. Eppure non è mai stata tra gli attivisti più impegnati in questo settore.
Non credo che ci siano i margini per combattere e ottenere qualcosa. Non ci sono competenze né volontà politica per fare una riforma seria. L’ultimo bando, per esempio, è stato fatto male e sarà bloccato da migliaia di ricorsi. Come è giusto che sia.
In questa candidatura è affiancata da Alberto Nicolini, presidente di Arcigay Reggio Emilia, candidato come segretario. La vostra mozione è “Il nostro orgoglio, a voce alta”. È tempo di alzare la voce, quindi?
È arrivato il momento di incidere di più a livello politico perché quello che abbiamo fatto negli anni passati non è abbastanza. Il Pd poteva fare di più e meglio, ma certamente le prospettive nel campo dei diritti erano migliori di quelle di oggi. Arcigay deve riuscire a influenzare l’agenda politica, non dobbiamo soltanto aspettare che gli altri facciano qualcosa per noi. Molti traguardi li abbiamo raggiunti attraverso i tribunali, la cosiddetta via giudiziaria, adesso dobbiamo percorrere quella politica.
Dovrete stare di più sotto i riflettori, e per molti non è facile.
Quando scegliamo di diventare protagonisti di qualche battaglia otteniamo soltanto lavoro in più (ride). Non è semplice essere Lgbt ma ce n’è molti di attivisti che ci mettono la faccia. Anche la visibilità ha un valore politico, questo è un concetto che dobbiamo fare nostro. Inoltre, parlare con una persona piuttosto che con un’associazione è sempre più semplice e così valorizzeremo il nostro lato umano.
La sfida, al Congresso di Torino di novembre, la vede in campo contro i successori di chi ha guidato Arcigay fino a oggi (il segretario uscente Gabriele Piazzoni e Luciano Lopopolo). Cosa vorrebbe fare di diverso rispetto alla gestione passata di Arcigay?
Uno dei nostri primi obiettivi, mio e di Nicolini, è l’intersezionalità delle lotte. Non possiamo lottare esclusivamente per i diritti Lgbt perché i diritti umani e sociali sono interconnessi. Se lotto per i miei diritti in quanto lesbica, bianca, meridionale, sto soltanto cercando di avere dei privilegi. Dobbiamo lottare per i diritti di tutti. Anche perché nessuno di noi è soltanto una cosa, donna precaria, del Sud, non è più tempo di fare una scala di priorità tra i diritti. Bisogna riconoscere quelli Lgbt, come quelli dei migranti, come quelli degli indigenti.