Il successo social di fake, storpiature e quant’altro oramai non è più notizia. Eppure dietro questa diffusione, alle volte volontaria e alle volte involontaria, si nasconde qualcosa di interessante e che, forse, mostra aspetti di noi che non dimostrano solo faciloneria ma qualcosa di più profondo. Un esempio: la lettera, finta, dello pseudo Camilleri che ammorba le bacheche e alimenta catene WhatsApp.
Il punto, qui, non è il perché si abbocchi ma il perché ci si riveda, da siciliani, in quel testo. Perché lo condividiamo e lo sentiamo nostro? Forse proprio questo meriterebbe una piccola riflessione. Su noi stessi e sul modo che abbiamo di guardare il mondo e le cose.
In quelle parole attribuite all’ignaro Camilleri c’è tutto il nostro sguardo sul presente della Sicilia: un cattivo di turno a cui dare le colpe, un richiamo ad una non meglio specificata e sconosciuta età dell’oro, un’assoluzione totale per il nostro presente. Facile, troppo. Consolatorio quanto deresponsabilizzante.
La nostra terra è stata depredata da invasori cattivi, i nostri antichi meriti scippati e nascosti. E noi, dove eravamo? Spettatori?
Non si mette in discussione la questione meridionale, troppo complesso. La si piega solo ad un evento predatorio, nel caso di specie sabaudo. Come se le classi dirigenti del Sud e della Sicilia, anche senza scomodare il Gattopardo e Gramsci, fossero sulla scena della storia, di quella storia, per pura casualità. Ripeto troppo facile ed assolutorio. Un buon modo per non fare i conti non solo con la nostra storia ma con il nostro presente.
Ed è qui che si rivela l’inganno di quella lettura, della falsa lettera aperta e del nostro modo di interpretare le cose. Anche senza bisogno di ripassare pagine di storia e scoprire come quel parlamento “più antico d’Europa” composto da baroni sia stato lesto a svendere questa nostra terra all’offerente migliore (per loro, si intende) senza porsi scrupoli. Magari sfruttando il denaro per armare squadre pronte a mettere a ferro e fuoco le città con la stessa tranquillità mostrata, appena lo scopo veniva raggiunto, nell’impiccare gli stessi sgherri assoldati.
Il nostro senso della storia è distorto, ci poniamo come spettatori – spesso paganti – degli eventi. Non siamo noi ad aver scelto classi dirigenti arraffone. Non siamo stati noi ad elemosinare davanti i palazzi nobiliari e le segreterie politiche diritti e pane con la stessa passione messa nel disconoscere questi poteri quando rotolavano nella polvere. No, non siamo stati noi. Vuoi vedere che era Camilleri?