PALERMO – Quarantasei persone arrestate e una valanga di personaggi ancora a piede libero. C’è la storia della mafia di oggi e probabilmente anche di domani nel provvedimento di fermo eseguito ieri dai carabinieri del Comando provinciale su ordine della Procura della Repubblica.
C’è la netta sensazione che la necessità di stoppare sul nascere la nuova Cosa nostra abbia svelato una minima parte delle indagini in corso. Nei quattro mandamenti colpiti – Pagliarelli, Porta Nuova, Misilmeri-Belmonte Mezzagno, Bagheria-Villabate – resta da chiarire il ruolo dei quadri intermedi e della manovalanza. In altri mandamenti, invece, la “pianta organica” è intatta e in servizio. Eppure ci sono nomi che ricorrono. Gente che si nuove parecchio e partecipa a riunioni i cui ordini del giorno rimangono oscuri. Le frequentazioni, queste sì, sono chiarissime. Fino a ieri apparivano solo discutibili, ora serve una nuova valutazione.
Un nome che ritorna, ancora una volta, è quello di Luigi Scimò, che fra corso dei Mille e Brancaccio tutti chiamano Fabio. Cinquantacinque anni, di cui quattordici trascorsi in carcere, Scimò è tornato libero nel 2014. Di lui si è parlato poco tempo fa quando si è scoperto che a Brancaccio comandava Pietro Tagliavia che diede incarico a un suo uomo di mettersi a disposizione di Scimò, di fargli sentire la vicinanza della famiglia. E c’era sempre Scimò, così ha raccontato il pentito Salvatore Sollima, fra i presenti ad una riunione convocata nel 2015, fra i boss di Bagheria e quelli di Brancaccio per mettere a posto delicate questioni di confine. I bagheresi si presentarono armati fino ai denti, ma non fu necessario usare le pistole calibro 38 e 7.65 che si erano portati dietro.
Il 3 luglio scorso i carabinieri hanno scoperto che Scimò e Settimo Mineo, il gioielliere boss che presiedeva la nuova commissione provinciale di Cosa nostra, si sono dati appuntamento in un’agenzia di pompe funebri in corso Calatafimi. C’era pure Salvatore Sorrentino, detto lo studentino, braccio destro di Mineo, anche lui arrestato ieri. Uno che in passato fu “graziato” da Nino Rotolo dopo i sospetti di avere fatto accordi con il nemico che allora era Salvatore Lo Piccolo. Lo scorso aprile, Francesco Colletti, capo mandamento di Villabate, piazza Scimò fra i presenti ad un riunione organizzata perché “ai Ciaculli vogliono l’incontro…”.
Altro nome che ricorre è quello di Franco Picone che nonostante si trovi agli arresti domiciliari avrebbe fatto pesare la sua voce. Le famiglie di “Passo di Rigano… Noce e Altarello – diceva Colletti – si vogliono mettere sotto” all’autorità di Picone che non potendo partecipare ai summit avrebbe inviato un suo consigliere.
Non solo Palermo. Tra i capitoli da sviluppare uno riguarda i contatti fra la commissione palermitana e i boss catanesi. A tenere i rapporti sarebbe stato Filippo Bisconti, considerato il capomafia di Belmonte Mezzagno e pure lui seduto al tavolo della nuova Cupola. Colletti pretendeva che “lui mi deve indicare con chi deve andare a parlare”. “Con Catania”, aggiungeva Cusimano. Ci sarebbe stato, dunque, un vertice interprovinciale. I palermitani, forse Bisconti in compagnia di altre persone, si sarebbe spostato nella città etnea ad incontrare un rappresentare della famiglia Santapaola.
Altro personaggio a piede libero è Giovanni Sirchia, arrestato nel blitz Gotha del 2006, perché affiliato alla famiglia mafiosa di Passo di Rigano. Il giorno in cui si svolse la riunione della Cupola, lo scorso 29 maggio “nonostante fosse un importante uomo d’onore del mandamento di Passo di Rigano-Boccadifalco, pur essendo fisicamente presente, era stato costretto a rimanere fuori dal locale ove aveva avuto luogo l’importante consesso, poiché potevano parteciparvi solo i rappresentanti dei relativi mandamenti”.
I nuovi boss si muovevano molto e così gli investigatori sono obbligati a cercare di comprendere le ragioni di una serie di incontri. Ad esempio quello di Mineo con Salvatore Alfano della Noce, già condannato per mafia, con Salvatore Nangano (fratello di Francesco, assassinato in via Messina Marine), con Francesco Inzerillo, soprannominato “Franco ‘u truttaturi”, e Tommaso Inzerillo, rispettivamente fratello e cugino di Totuccio Inzerillo, boss di Passo di Rigano assassinato nel 1981 dai corleonesi. Acqua passata, gli eredi degli “scappati” sono ormai rientrati in città. Un altro incontro è stato monitorato fra Mineo e Ignazio Traina, di Santa Maria di Gesù, pure lui con precedenti per mafia.
Dalla città alla provincia. Dalle indagine emerge che la nuova Cupola doveva tornare a riunirsi per sciogliere il nodo delle nomine alla Noce e a Bagheria. I componenti della commissione desideravano venisse nominato reggente Gioacchino Mineo, già condannato per mafia. Colletti, però, sapeva che i vecchi boss dal carcere avevano fatto sapere che il potere spettava a a Pino Scaduto. Un anno e mezzo fa Scaduto e Mineo, capomafia di Bagheria e suo fedele braccio destro, sono stati assolti e scarcerati. Solo che Scaduto poche mesi dopo è stato di nuovo arrestato. L’unico libero è Gino Mineo.