PALERMO – “In maniera del tutto spregiudicata e disinvolta forte anche del suo incarico istituzionale di funzionario della Regione Siciliana e soprattutto della privilegiata rete di relazioni intrattenute quale esponente di loggia massonica con azioni spregiudicate e disinvolte si è messo a completa disposizione dell’associazione mafiosa”.
Così il giudice per le indagini preliminari Maria Cristina Sala motiva la decisione di applicare la custodia cautelare in carcere a Lucio Lutri, dipendente dell’assessorato regionale all’Energia arrestato nei giorni scorsi, ed ex maestro venerabile di una loggia massonica di Palermo. È indagato per concorso esterno in associazioni mafiosa e il clan di cui avrebbe accresciuto il potere è quello di Licata, guidato da Giovanni Lauria, soprannominato “il professore”.
È lo stesso Lutri, intercettato dai carabinieri del Ros e del comando provinciale di Agrigento, senza sapere di essere spiato su ordine della Dda di Palermo, a spiegare che “la mia vita è quella che è, è incasinata però incasinata con onore”.
La continua richiesta di favori lo impegnava parecchio, ma sarebbe stato felice di mettersi a disposizione. In lui, i mafiosi di Licata, vedevano “ un trampolino di lancio per diciamo per l’estero “.
Ed è sempre stato Lutri “ben consapevole del contributo offerto alla consorteria mafiosa – scrive il giudice – ad invitare i propri interlocutori a spegnere i telefonini per evitare di essere intercettati”. “… spegni questa cosa che se abbiamo cose che ci controllano omissis se ha il telefono te lo spegni qua il problema è uno solo”, diceva il funzionario.
Lutri non ha convinto il giudice. Nel corso dell’interrogatorio di garanzia “non ha riconosciuto come proprie” alcune frasi intercettate. Dall’indicazione sulla necessità di spegnere il telefonino alle parole con cui mostrava di avere la situazione sotto controllo: “… io né muoio né mi attaccano”.
Secondo il Gip, “appare in primo luogo del tutto inverosimile ritenere che egli non fosse a conoscenza della caratura mafiosa dei soggetti frequentati, come pure del tutto inverosimile risulta l’affermazione che lo stesso Lutri fosse ignaro delle finalità illecite degli incontri con i predetti soggetti e della loro attività oggetto di discussione illiceità che traspare evidente in diversi punti delle conversazioni intercettate… né l’indagato ha offerto una valida spiegazione in merito alla sua così ampia disponibilità dimostrata sulle richieste di suoi interventi o interessamenti per la risoluzione di questioni tra le più variegate dal settore dell agricoltura al settore finanziario bancario sanitario ovvero persino giudiziario”.
Sono questi i passaggi più delicati dell’inchiesta su cui sono al lavoro il procuratore aggiunto Guido e i sostituti Camilleri, Ferrara e Sinatra. Lutri ha definito “fantasiosa ed incredibile”, ad esempio, la circostanza in cui si diceva pronto ad attivare amicizie con la magistratura, a Roma come a Bruxelles, per fare accogliere un ricorso per la restituzione dei beni sequestrati a un imprenditore amico.
“È stato un modo come un altro per dire che non ero in grado di risolvere il problema – si è difeso il funzionario – non ho preso contatti con nessuno e non avevo con chi prendere contatti”. Un millantatore? Secondo il Gip, Lutri merita di stare in carcere perché potrebbe inquinare le prove e fare perdere le proprie tracce. Senza dimenticare che “lo stesso in vero ha persino richiesto a Cosa Nostra licatese di intervenire con l’uso della forza di intimidazione e della violenza in danno di un imprenditore reo di non aver onorato il debito nei confronti di un amico dello stesso Lutri dati che costituiscono tutti elementi che fanno considerare esistente il concreto pericolo che l’indagato se liberi possa reiterare le gravi condotte delittuose contestate”.