Agostino Pizzuto custodiva un arsenale di Cosa nostra in una grotta di Villa Malfitano – dove ufficialmente faceva il giardiniere – e oggi, dopo poco più di due ore di camera di consiglio, è stato condannato con il rito abbreviato dal tribunale di Palermo a dieci anni di reclusione, nonché a pagare una multa di 2.200 euro. Una pena più mite rispetto ai quattordici anni richiesti dal pm, Gaetano Paci, durante la sua requisitoria. Per detenzione di armi è stato condannato a tre anni e quattro mesi, oltre al pagamento di una multa di 600 euro, anche Vincenzo Troia, presunto componente della famiglia mafiosa di Pallavicino.
I due erano stati arrestati a maggio nell’ambito dell’inchiesta Eos e sono attualmente sottoposti al 41 bis. Entrambi dovranno rispondere di associazione mafiosa in un altro processo. I capi d’accusa sono stati separati perché il codice prevede che nel caso di detenzione di armi si proceda per direttissima.
Agostino Pizzuto, alias “basettone”, aveva il compito di custodire pistole, mitragliette, munizioni e persino una bomba a mano per conto di Cosa nostra. Come ha raccontato il pentito Michele Visita (arrestato durante la stessa operazione) le armi, prima di finire a Villa Malfitano, erano state nascoste in vari posti: da un portiere allo Zen, poi nel parcheggio di via Castelforte e in seguito nel giardino di casa di Pizzuto. “Basettone” aveva poi approfittato di un giorno in cui l’altro giardiniere del parco era assente per nascondere le armi nella grotta. Successivamente, come ha riferito agli inquirenti la direttrice della Fondazione Whitaker che ha sede nella villa, aveva chiesto che davanti a quella grotta venisse installato un cancello (di cui era l’unico a possedere le chiavi), per “metterla in sicurezza”. L’arsenale fu ritrovato dopo due giorni di ricerche con attrezzature molto sofisticate e soltanto grazie alle dichiarazioni di Visita. Ora le armi saranno trasferite presso la Direzione generale dell’artiglieria di Messina dove saranno distrutte.
Più lieve il reato commesso da Troia. Al momento del suo arresto, infatti, i carabinieri ritrovarono una pistola sotto il suo materasso. Un giocattolo – come è emerso dalla perizia – ma opportunamente modificato tanto da diventare una comune arma da sparo, anche se priva di matricola. I giudici non hanno ritenuto che Troia detenesse però quell’arma per agevolare l’attività della mafia, aggravante di cui è stato assolto.