CATANIA – Eseguita l’autopsia sul corpo della piccola Chloe Gugliemino, la bimba di 11 mesi deceduta all’ospedale Garibaldi il 17 luglio in seguito ad un arresto cardio respiratorio e quattro mesi di coma. Per la morte della bimba sono indagati, come atto dovuto dopo la denuncia dei famigliari, 18 componenti del personale medico dell’ospedale, accusati dalla famiglia di “non avere gestito adeguatamente il caso clinico e non avere prestato le cure necessarie” alla piccola ricoverata il 26 febbraio del 2017 per una invaginazione intestinale. Nel dettaglio, gli esami autoptici, eseguiti nella camera mortuaria del nosocomio etneo, si sono svolti nell’ambito della richiesta d’incidente probatorio avanzata dal Gip e dal Pm Francesco Brando, titolare delle indagini.
“Non stiamo parlando di risarcimenti, non è quello il discorso – spiega il legale della famiglia Giuseppe Incardona a LiveSicilia – pretendiamo un esatto adempimento ospedaliero, cosa che in questo caso specifico riteniamo non ci sia stato”. All’epoca del ricovero la bambina doveva essere sottoposta ad un normale intervento diagnostico di laporascopia esplorativa, differito di un giorno per una sopravvenuta urgenza. “Se si fosse stati di fronte ad un approccio terapeutico di routine, così come è stato detto, non si comprendono le anomalie che si sono poi verificate”, prosegue l’avvocato. Stando alle accuse della famiglia, i sanitari non avrebbero rispettato il protocollo medico per curare la patologia di cui era affetta la piccola. Nello specifico, “l’approccio per rimuovere la causa dell’occlusione, per quanto opinabile – prosegue – doveva essere di natura chirurgica piuttosto che farmacologica, come hanno stabilito anche i medici legali (di parte) che ha consultato la famiglia. Ma le ombre riteniamo siano anche per quanto riguarda la mancata ossigenazione alla bambina, danno che ha procurato la morte delle cellule celebrali. La bambina ad un certo punto è infatti andata in coma”.
Ricoverata il 26 febbraio, Chloe viene colpita da un arresto cardio respiratorio nove giorni dopo, il 6 marzo, ovvero la notte precedente all’intervento. Immediatamente ventilata e rianimata la piccola paziente viene salvata e subito sottoposta all’operazione chirurgica, ma entra in coma e ci rimarrà fino al decesso. L’intervento sarebbe stato rimandato per dare precedenza ad un altro caso, più grave, in assoluta sicurezza, come ha sempre ribadito l’azienda ospedaliera. “Sarà il collegio di periti – continua l’avvocato Incardona – assieme alla magistratura a stabilire cosa è accaduto, ma non confermiamo la versione dell’ospedale. Intanto perché se l’intervento fosse stato eseguito dopo due o tre giorni la bambina non sarebbe andata in arresto: è un dato di fatto. Se poteva essere procrastinato in sicurezza non si capisce perché allora si sia verificata l’emergenza”.
Il secondo evento che, secondo la famiglia, avrebbe compromesso la vita della bimba è legato all’intervento di posizionamento del catetere nella giugulare. “Temiamo sia stato effettuato -aggiunge il legale della famiglia della vittima – in maniera maldestra e riteniamo possa rappresentare una concausa probabilmente determinante. Devono spiegarci come mai la bambina è andata in arresto ed è entrata in coma subito dopo l’intervento. Nonostante la morte sia avvenuta dopo mesi, il danno celebrale arrecato era già permanente. Avrebbe potuto vivere altri vent’anni ma senza cervello”.
Nel marzo scorso, subito dopo che la piccola è entrata in coma, la famiglia sporge una prima denuncia ai Nas per “lesioni” contro ignoti. Successivamente al decesso, il capo d’imputazione formulato nelle indagini viene modificato in omicidio colposo. In quei mesi i medici avrebbero rassicurato la famiglia. “Non contestiamo una semplice puntura – afferma il legale – ma la gestione del caso clinico avvenuto in un centro di eccellenza come il Garibaldi, da cui dunque ci si aspetta l’eccellenza. Ci auguriamo che l’indagine interna condotta dall’ospedale sia altrettanto imparziale, e porti all’individuazione delle responsabilità, ma sempre al fine del miglioramento del servizio”, conclude l’avvocato della famiglia.
E diversa è la versione dell’ospedale che respinge la tesi secondo cui sarebbero stati commessi degli errori nella gestione del caso della piccola Chloe. A parlare a LiveSicilia è il dottor Sebastiano Cacciaguerra, primario dell’unità di chirurgia pediatrica del Garibaldi, che non risulta iscritto nel registro degli indagati. La sera in cui la bimba è andata in arresto il dottore non era presente perché in ferie, fa rientro l’indomani mattina. “Sono andato personalmente a vedere cosa fosse accaduto – racconta – Dopo l’arresto la paziente è stata sottoposta all’intervento da cui non è emerso che l’intestino fosse in sofferenza. Non c’era alcuna occlusione. È stata riscontrata la sola presenza di un diverticolo intestinale di Meckel che è stato poi rimosso”. Ma Cacciaguerra ci tiene innanzitutto a sottolineare come i medici dell’ospedale abbiano vissuto con dolore la morte della piccola. “Noi ci rimettiamo serenamente alle indagini in corso e al responso degli esperti che sono stati chiamati a valutare la vicenda. E siamo dispiaciuti di quanto accaduto e partecipi del dolore della famiglia. La bambina è stata ricoverata per delle invaginazioni intermittenti, non si trattava di una situazione di emergenza“, ribadisce. Sostanzialmente tale problema comportava dei dolori alla bambina, che “venivano curati – continua – come da protocollo sanitario tramite riduzione radiologica. Tengo poi a precisare che non si tratta di una patologia esotica, si tratta di una problema che riscontriamo almeno in una decina di pazienti all’anno, fra cui bambini, e che viene risolta nel 80-90% dei casi tramite terapia radiologica non invasiva; è più raro il ricorso all’intervento chirurgico”, precisa.
Secondo i medici del Garibaldi la bambina non era affatto in pericolo di vita. “L’intervento è stato differito – spiega – in tutta sicurezza e con il consenso dei genitori”. Ma sulle cause che hanno determinato il blocco cardio respiratorio sopravvenuto nella notte precedente all’intervento, il dottore si riserva di attendere l’esito degli esami autoptici che arriveranno entro 90 giorni. “È oggetto – afferma – della nostra curiosità e delle indagini stesse”. Ed esclude che vi possano essere correlazioni tra l’arresto e la patologia di cui soffriva la bimba. “Non credo che possano essere collegate le due cose. Peraltro la bambina non vomitava, aveva solo dei dolori. Questa patologia non porta alla morte. Noi siamo i primi a voler capire cosa sia accaduto e confidiamo nell’aiuto che ci daranno i colleghi autorevoli”. L’intervento eseguito successivamente all’arresto cardio respiratorio consisteva ” in un atto diagnostico di natura esplorativa per capire appunto cosa ci fosse e cosa scatenasse le invaginazioni intermittenti che poi abbiamo scoperto essere il diverticolo intestinale. L’intestino era sano continuo a ribadire”.
Poco dopo l’arresto cardio respiratorio, da cui viene salvata, e l’intervento chirurgico eseguito in terapia intensiva “la bimba – dice il medico – è stata trasportata all’ospedale di Taormina dove è presente il macchinario Ecmo. Una volta risolto il problema ai polmoni è tornata nuovamente al Garibaldi e ricoverata nella nostra unità di terapia intensiva pediatrica dove è stata amorevolmente osservata, prestandole tutte le cure necessarie, moderne e disponibili fino al decesso. Operiamo più di due mila bambini l’anno quindi non abbiamo nulla da nascondere e l’azienda ospedaliera ripone la massima fiducia nell’operato della magistratura e noi siamo a disposizione. Tutte le cartelle cliniche sono nelle mani degli inquirenti. È accaduto qualcosa d’imponderabile su cui faranno luce gli esperti”, conclude il primario Sebastiano Cacciaguerra.