CATANIA. Finalmente referendum. Domani è il 4 dicembre e quasi fosse l’ultima di un lunghissimo campionato, a fine giornata sapremo se la Repubblica si doterà di una Costituzione per un terzo nuova di zecca (45 articoli su 139) o se la Carta in vigore ad oggi continuerà il suo percorso tale e quale. Una consultazione secca, che non ammette quorum, perché confermativo di quanto già votato dalle due Camere in triplice lettura. A quanto pare, però, la soglia minima di partecipanti non è in discussione, perché si prevede comunque un’affluenza superiore al 50% più 1 degli aventi diritto. Una previsione confermata da quanto accaduto nei collegi all’Estero, che hanno fatto registrare una presenza del 40%.
Sì o no, quindi, tertium non datur. I seggi saranno aperti dalle 7 alle 23 di domenica. Sono elettori tutti i cittadini che hanno compiuto i diciotto anni di età all’apertura dei seggi. Per votare bisogna esibire un documento d’identità valido e la propria tessera elettorale. Chi l’avesse smarrita può richiederla al proprio Comune di appartenenza anche nel giorno del voto. Gli scrutini avverranno subito dopo la chiusura dei seggi.
Su cosa si vota. Il punto qualificante è il superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, anche se sarebbe più opportuno chiamarlo paritario. Attualmente Camera e Senato hanno le medesime funzioni, entrambe votano le leggi, entrambe votano la fiducia al governo in carica. Con la riforma, soltanto i deputati avranno una funzione politica e legislativa piena. Il nuovo Senato rappresenterà, invece, gli enti del territorio e sarà composto da 100 senatori: 74 consiglieri regionali minimo due per regione, in proporzione alla popolazione e ai voti dei partiti, e 21 sindaci, uno per regione, tranne il Trentino-Alto-Adige che ne nomina due. Mentre cinque saranno di nomina presidenziale, ma non a vita. I nuovi senatori non saranno eletti con suffragio diretto, ma con elezioni di secondo grado le cui modalità saranno dettate a sei mesi dalla vittoria del Sì. La funzione legislativa sarà esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi costituzionali, per le minoranze linguistiche, per il referendum popolare, per le leggi elettorali, per i trattati con l’Unione europea e le norme che riguardano i territori. Tutte le altre leggi saranno approvate esclusivamente dalla Camera.
La riforma abolisce inoltre il Cnel e le Province. Sul tema delle Regioni è inoltre stato rimodulato il testo del 2001 e vengono riattribuite allo Stato tutta una serie di competenze che precedentemente erano state devolute agli Enti locali.