CATANIA – Non ha potuto far altro che ammettere di aver prodotto un certificato medico senza aver proceduto a visitare il paziente. Il paziente del medico Riccordo Ferrera era il sorvegliato speciale Michele Giuffrida, indagato nel 2012 dalla Squadra Mobile nell’ambito dell’inchiesta Fort Apache e ora imputato nel processo in corso. Dalle intercettazioni è emerso chiaramente che Giuffrida, quando non andava a firmare alla Pg perchè malato (come risultava dal certificato medico), in realtà era in Puglia. La moglie del sorvegliato speciale telefonava a Ferrera dicendo che il marito aveva la febbre e che quindi – per motivi di salute – non poteva andare a firmare al posto di polizia. Il medico attestava la malattia, ma in realtà Giuffrida non solo era sano come un pesce ma era in viaggio verso la Puglia. Il sospetto (rimasto tale perchè non si hanno avuto riscontri) era che Giuffrida si fosse recato nel tacco della penisola per acquistare dello stupefacente, forse anche per uso personale.
Si è conclusa con l’esame del medico accusato di falso in atto pubblico l’istruttoria del processo scaturito dal blitz che portò in manette 40 persone per la gestione della roccaforte della droga a Librino. Il 4 luglio si svolgerà la requisitoria del pm Rocco Liguori per gli imputati Angelo Guzzetta, Carmelo Battaglia, Venerina Ferlito, Michele Giuffrida, Costantino La Torre, Pizzarelli Dolores e del medico Riccardo Ferrera. Guzzetta è ritenuto dalla magistratura il referente del clan Cappello per la gestione in “partnership” della piazza di spaccio.
Lo stralcio del rito abbreviato si è concluso la scorsa estate con una raffica di condanne. Inflitte dal Gup oltre tre secoli di calce. L’inchiesta Fort Apache ha pemersso di disarticolare i tre gruppi criminali tra Santapaola, Cursoti e Cappello che fino al 2012 hanno monolizzato il fortino dello stupefacente. Coinvolti nel blitz molti giovanissimi. Le telecamere della Squadra Mobile hanno immortalato gli aspiranti boss mentre cercavano di assumere i comportamenti tipici degli uomini d’onore. Una brutta copia in realtà, i giovanissimi spacciatori oltre a vendere dosi e stecchette per salutarsi tra di loro erano soliti scambiarsi baci a stampo sulle labbra. L’inchiesta mise in rilievo anche un altro inquietante risvolto: il ritorno dell’eroina a Catania. Librino – secondo gli inquirenti – era all’epoca dei fatti contestati la piazza di spaccio dell’eroina più grande della Sicilia Orientale.