CATANIA. Sarà un Natale amaro. Amarissimo. Per i 29 dipendenti dell’emittente televisiva Telecolor, il prossimo 5 gennaio sarà la fine delle trasmissioni. La scure dei licenziamenti ha finito col travolgere, in modo cinico ed impietoso, lavoratori professionalmente inappuntabili per i quali è stato deciso che il tempo è scaduto. Effetto della crisi, certo. Di un’azienda tra le più importanti dell’editoria siciliana schiacciata da un deficit, ma sono solo numeri ufficiosi, di almeno 1 milione e mezzo di euro. Ma anche effetto di un pacchetto legato proprio al panorama dell’editoria che dalla Regione in giù, quasi nessuno ha voluto davvero discutere, affrontare e sostenere. E così per i 29, tra tecnici ed amministrativi, il capolinea è arrivato nel giro di una manciata di mesi nel corso dei quali nemmeno la stipula dei contratti di solidarietà è riuscita a risollevare le sorti di una vicenda sfuggita di mano già da tempo. I licenziati sono tutti, o quasi, padri di famiglia di età compresa tra i 48 e i 58 anni: ed anche la carta d’identità finisce col giocare un ruolo negativamente determinante nel reinserimento del mondo del lavoro.
Avviene tutto, come nella più classica delle saghe catanesi, nel massimo silenzio. Di tutti. Un silenzio che nulla ha, ovviamente, a che fare con il riserbo e la discrezionalità. Semplicemente, non se ne parla. Nel corso dell’ultimo incontro di appena qualche giorno fa tenutosi all’Ufficio provinciale del lavoro, al quale erano presenti i vertici della proprietà dell’Azienda del Gruppo Ciancio ed i sindacati, si è tentato di capire che cosa accadrà dall’indomani del 5 gennaio. Per i 29 dipendenti si profilerebbero due strade. Una è quella di riuscire a rientrare in una sorta di cassa integrazione in deroga che scatterebbe non prima di sei/sette mesi; l’altra, quella di potere continuare a lavorare di tanto in tanto con l’azienda non più da dipendente bensì da cameraman free-lance con partita Iva. Il prossimo 3 gennaio ci si rivedrà all’Ufficio del lavoro dove la proprietà dovrebbe fare conoscere le proprie intenzioni: fare sapere, insomma, come intende proseguire le proprie attività. “Siamo arrabbiati perchè c’è stato strappato il nostro lavoro. Siamo stati lasciati da soli”, racconta Filippo Milazzo uno dei lavoratori licenziati che assieme a Franco Di Blasi, Giovanni Pistorio e Davide Foti si è battuto fino in fondo per venire a capo della vicenda. Un quadro che, almeno a Catania, è comune a tante altre piccole realtà dell’editoria. In un settore come quello dell’informazione che va spegnendosi in un clima di assuefazione disarmante.
Lo switch off dell’analogico con il conseguente passaggio al digitale terrestre ha schiacciato finanziariamente le emittenti locali che non hanno avuto nessun aiuto finanziario. E così sotto lo spauracchio della crisi economica è la stessa libertà d’informazione ad essere messa seriamente in discussione. Ed a Catania, francamente, non se ne sentiva affatto il bisogno.