CATANIA. “Le periferie sembrano una riserva indiana, dove tutti arrivano, si fanno i loro porci comodi e poi vanno via”. Parola di Saro Patanè, “librinese” doc. Parole dure come macigni quelle di Patanè, già presidente della decima municipalità due legislature fa, che a LiveSiciliaCatania spiega cosa lo ha spinto a ritentare l’impresa e, soprattutto, perché ha optato per una corsa solitaria. Infatti, Patanè guida una lista civica “Democratici e riformisti siciliani”, fuori dai due maggiori schieramenti: quel centro destra e quel centrosinistra che proprio a Librino chiuderanno le loro campagne elettorali.
Perché ha deciso di candidarsi senza indicare alcun candidato sindaco?
Non sostengo nessun candidato sindaco perché credo nel voto libero, saranno i cittadini a decidere se continuare a puntare su Stancanelli o a rinnovarsi con Bianco, D’Urso o Caserta. Io non mi sento legato a nessuno di loro, non voglio condizionare la libera scelta dei cittadini.
Perché ha deciso di candidarsi?
Una prima considerazione riguarda gli altri candidati. Senza nulla togliere a davide simone vinci, ritengo che non abbia un legame con librino. Nel centrosinistra, invece, si potevano trovare figure più intriganti del candidato che hanno scelto. Inoltre, dico con molta onestà, che la mia esperienza da presidente di municipalità è stata bella e positiva. Avevo portato avanti un progetto ambizioso fondato sul fare rete con tutte le realtà del territorio, dal mondo del volontariato alle parrocchie, dalla scuola e alle associazioni . pensavo che quel progetto sarebbe stato continuato. Nei cinque anni passati, invece, tutto si è disgregato: è rimasto soltanto il protagonismo personale
Durante la campagna elettorale si fa, sempre, un gran parlare dei quartieri e delle periferie, e di Librino in particolare. Qual è la reale situazione? Quali sono i problemi di cui tanti parlano ma di cui, probabilmente, pochi hanno reale contezza?
Ho assistito negli anni passati a tanti consiglieri o assessori che avevano preso tanti voti a Librino, però, se dovevano andare in viale Burrascano mi chiamavano e mi chiedevano di accompagnarli perché non sapevano come arrivarci. Questa è la vera storia di Librino. L’errore di fondo è pensare Librino come un quartiere, e non come una città. Un esempio su tutti: è impensabile che il commissariato faccia orario di ufficio e poi chiuda. Poi ci sono numerosissime opere incompiute. Sono stato il primo, insieme all’assessore Drago, a lanciare la battaglia dello stadio. Penso, ancora, alla vergogna del teatro Moncada, dove ho portato Gianni Bella, una grande opera in fase di conclusione mancavano solo 500 poltroncine. Dopo tanti anni cosa ne è stato? Oggi, all’interno della struttura ci sono cinque o sei macchine bruciate. L’altra grande incompiuta era Villa Fazio. Poi Villa Nitta e l’idea di creare micro impianti sportivi che un gruppo di ragazzi volava gestire a loro spese. Poi ci sono i tralicci che alimentano la linea ferroviaria Catania- Siracusa, erano stati stanziati svariati milioni di euro per eliminarli, dopo otto anni i tralicci sono ancora lì. Insomma tra un’opera incompiuta e un’altra, di certo rimane solo il degrado.
Perché la politica si è spesso disinteressata delle sorti di Librino?
Credo che non sia un caso se i nostri rappresentanti nelle istituzioni nazionali, ma anche i nostri candidati sindaco, siano catanesi solo di adozione. E’ un segnale da tenere in considerazione, perché viene meno il cordone ombelicale tra madre e figlio. Mi spiego, chi è nato qui matura un amore per la città incommensurabile. I catanesi dovrebbero tenerne conto. Il mio discorso vale per Catania ma ancora di più per Librino. Le periferie hanno pagato un prezzo troppo alto. Da Pasolini a Gomorra, le periferie sono state sempre una sorta di riserva indiana, dove tutti vengono a fare i loro porci comodi e poi vanno via.