PALERMO- Ricevo questa telefonata. È giovedì pomeriggio. Ma Ingroia, mi chiedono. Ha firmato degli autografi e qualcuno protesta. Tu che ne pensi? Sto dalla sua parte, rispondo. Dalla parte di Antonio Ingroia e di quelli che gli chiedono un autografo. Io mi ricordo. Erano gli anni Ottanta. Avevano già ucciso. Mattarella. La Torre. E tanti altri, buoni e meno. Nell’83, ricorsero al tritolo, per l’autobomba che uccise Rocco Chinnici. Un’azione di guerra. Libanese, dissero. E libanesi furono altre stragi. Fino a quelle del ’92 e del ’93. Mi ricordo quei magistrati che a Palermo, con Chinnici, provarono a scardinare un intero sistema, colpendo anzitutto Cosa Nostra.
Oggi abbiamo la consapevolezza che il sistema criminale italiano si fonda da una parte sulla prevaricazione legalitaria – leggi ad hoc, professionisti dello svuotamento del senso residuo delle leggi, imprenditori – e dall’altra sulla violenza, delle mafie e di altri soggetti armati. Di quei magistrati che provavano a incrinarne il funzionamento, uomini come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dicevano, fra l’altro: comunisti, golpisti, illusi, narcisisti, pazzi. Tralascio gli insulti. Sono passati vent’anni. Falcone e Borsellino non riuscirono a demolire quel sistema criminale. E furono uccisi, dalla mafia e dai suoi alleati, per obiettivi non solo mafiosi: a dircelo, oggi, sono storici e magistrati. La Trattativa che si svolse tra Stato e Mafia è stata raccontata da pentiti e testimoni.
C’è anche il colossale depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Manca la verità sui delitti politici. E vengono fuori verità un tempo indicibili sui rapporti tra mafia, neofascismo e poteri occulti: dalla revisione del processo per la strage di Alcamo, ad esempio. Tutto si tiene. In più, rispetto ad allora, c’è l’inveramento della profezia di Sciascia sui professionisti dell’antimafia. Si ha l’impressione che sotto la maschera di antimafiosi oggi possano nascondersi dei rappresentanti di interessi, come dire, sgradevoli. Antonio Ingroia ha il coraggio di denunciare il fallimento di quel tentativo di scardinamento, proseguito fino ad oggi con coraggio e nonostante i tanti morti. Fallimento che, a mio parere, non è solo della magistratura onesta. È nostro, di tutti noi. Ingroia dice con tono pacato e con argomenti seri di quel che è accaduto e accade. Ha svolto una funzione di supplenza. Parlo al passato prossimo perché sta per andar via da Palermo, sia pure per un anno, per un incarico ONU. In Guatemala, e non alle Bahamas. Ingroia non va via da vincitore. Ma da sconfitto. Lui come tanti italiani.
Confesso che per qualche tempo ho criticato i magistrati che rilasciavano interviste sui processi dei quali si erano occupati. Distinguevo tra Gherardo Colombo e Antonio Di Pietro, tanto per dire. Avevo voglia di normalità. Ora mi sento trascinato indietro nel tempo. Ad anni terribili. Ripenso alla ragione della telefonata. Ingroia ha firmato degli autografi. E mi dico, quasi quasi, gliene chiedo uno anch’io.