L’ex deputato regionale Cateno De Luca, attuale sindaco di Santa Teresa Riva, è stato rinviato a giudizio nell’inchiesta nata dall’indagine sul sacco edilizio al comune di Fiumedinisi. Insieme a lui sono stati rinviati a giudizio altre 17 persone compreso il fratello Tindaro. Al leader del movimento Sicilia Vera vengono contestati i reati di abuso d’ufficio, tentata concussione e falso. Il provvedimento ha riguardato tra gli altri anche il componente della giunta comunale di Fiumedinisi Pietro Bertino, l’ex vice sindaco Grazia Rasconà, l’ex l’assessore Paolo Crocé, il funzionario Pietro D’Anna e il presidente della Commissione edilizia, Benedetto Parisi. Ci sono poi componenti della commissione edilizia comunale Renzo Briguglio, Angelo Caminiti, Roberto Favosi, Fabio Nicita, Francesco Carmelo Oliva e il sindaco di Alì Carmelo Satta, coinvolto nella vicenda perché presidente del Cda della Fenapi, la struttura d’assistenza creata da De Luca.
Al centro delle indagini della polizia Municipale i lavori per la costruzione di un albergo con annesso centro benessere della società ‘Dioniso srl’, l’edificazione di 16 villette da parte della coop ‘Mabe”, e la realizzazione di muri di contenimento del torrente Fiumedinisi. Secondo l’accusa gli indagati avrebbero agevolato l’ex sindaco De Luca, mediante l’approvazione della variante al Prg, per la realizzazione dell’albergo di contrada Vecchio con i finanziamenti per la messa in sicurezza del torrente.
“Non mi coglie di sorpresa l’odierno rinvio a giudizio in quanto la trappola politica che ha generato il procedimento penale che ha causato anche il mio ingiusto arresto, per come già sentenziato dalla Suprema Corte di Cassazione, è stata ordita con sapiente dovizia da una confraternita rappresentata anche da illustri personaggi dell’alta burocrazia e della politica regionale, che ho sempre contrastato”. Cateno De Luca così commenta la notizia del suo rinvio a giudizio. “Ho sempre combattuto tutte le forme di mafie – ha aggiunto – nella sempre più convinta consapevolezza che la Sicilia possa essere salvata soltanto da quei veri siciliani disposti a sacrificare la propria vita politica e professionale per spezzare la cupola politico-affaristica che ha rubato le risorse di tutti i siciliani ed ha contaminato anche apparati dello Stato, distraendoli dai loro compiti di salvaguardia di quei giovani siciliani in contrasto con questo sistema politico-mafioso”. I legali dell’ex deputato regionale, Carlo Taormina e Tommaso Micalizzi dicono: “Il Gup con una motivazione singolare ed anomala, dopo aver riconosciuto la mancanza di una prova d’accusa, non ha prosciolto De Luca per la incomprensibile ragione della ‘mancanza della prova di insostenibilita’ dell’accusa in dibattimentò. Attraverso questa ‘perla’ giurisprudenziale si è obliterato il dovere di comparazione tra prova di accusa e di difesa, consumando un’autentica violazione di legge processuale”.