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Ma cos’è questa crisi?

Le parole del cardinale
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Allo Zen c’erano parabole immense sulla facciata scrostata e macilenta di case poverissime. Entrando nell’appartamento di un posteggiatore abusivo, lo stupore aumentò. Vetrine di porcellana. Servizi finissimi. Televisore al plasma. Il tutto mescolato con gusto. E dunque – si chiese il cronista – dov’è questa crisi, cos’è? E dove è finito lo Zen come ce l’hanno raccontato, se dietro l’ingresso della spelonca splende un ricco giardino incantato. Che cos’è la miseria se un sottoproletario palermitano, acceso di rivendicazioni e recriminazioni, possiede oggetti fantasmagorici che mai potrebbero trovarsi nel salotto di un borghese piccolo piccolo?

L’argomento, di recente, lo ha sollevato il cardinale Paolo Romeo e non è banale. E tutta una lamentela, un chiacchiericcio folto, un grido di aiuto, un agitare le braccia da imminenti annegati. Però nei ristoranti ci andate, cari miei. E mica vi accontentate della pizza margherita. Volete la romana, magari con bufala. Chissà perché viene in mente una vignetta di Forattini, forse il protagonista era Gava, forse no. Si celebravano i passi del Napoli che imparava a giocare da grande in serie A. Infatti aveva comprato il fortissimo olandese Rud Krol. L’uomo della vignetta si appoggiava a un deserto di macerie, nella didascalia. E in napoletano sfotticchiava: “Guagliò, tutti dicere: vulimmo a Krol, vulimmo a Krol. E mo’ che ce l’avete, pecché vi lamentate?”.

I giovani non conoscono i poeti contemporanei. Li ammazzano di Vincenzi Monti a scuola. Ma se gli chiedi notizie di Caproni pensano a due animali molto grossi e molto cornuti. E come fanno a vivere senza ripetersi nel cuore ogni giorno i versi della preghiera per la madre: “Anima mia, sii brava e va in cerca di lei. Tu sai cosa darei, se la incontrassi per strada”. Casomai, i più secchioni o i più sensibili sono già arrivati alla “sonnambula noia” di Ungaretti. Noi, mentre la prof ci ammazzava di Vincenzi Monti assortiti, sbirciavamo il libro per bearci di Villon e canticchiavamo: “Dove le nevi dell’altro anno”. Erano già gli ultimi fuochi di un sogno.

Mi capita spesso di discutere appassionatamente con i miei colleghi (ahimè) più giovani. L’unica pedagogia possibile nel nostro scellerato e stupendo mestiere è trasmettere l’amore per la parola e per la coscienza, traguardo assai nebuloso. E loro, questi ragazzi fantastici che scelgono di iniziare una strada impervia e spesso sono bravissimi, più bravi di come eravamo noi alla loro età, mostrano sconforto. Sì, l’amore. E il pane? E la famiglia che vorrò? Cerco sempre di rispondere con qualche frase di speranza. Tuttavia, mi rendo conto che – davanti alla marea di precariato a vita, se sei fortunato – le consolazioni somigliano alle condoglianze di circostanza, con la bara ancora aperta.

Allora, cos’è questa crisi? Forse è tutto insieme. I televisori al plasma dello Zen, l’ignoto Caproni, la pizza romana con bufala e la paura dei nostri giovani. Come un tunnel di cui non capisci la luce d’ingresso. Intorno, sopra e sotto, c’è solo buio fitto.
E voi che farete, ragazzi, in tanta spaventosa oscurità? Cercherete di camminare secondo amore e coscienza, o vi accontenterete del Krol che passa il convento?

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