Una fortuna accumulata grazie al favore di Cosa nostra. Così la Direzione investigativa antimafia ha sequestrato beni per un valore di 70 milioni di euro all’imprenditore Mariano Saracino, attivo nel settore edile, di Castellammare del golfo (Tp) e ai fratelli Diego e Ignazio Agrò che si occupavano di produzione olearia. Il dispositivo di sequestro è stato emanato dai tribunali di Trapani e Agrigento, su richiesta del direttore della regionale della Dia, Antonio Girone, e del procuratore aggiunto alla Dda di Palermo, Roberto Scarpinato.
Mariano Saracino è in carcere dal luglio del 2004, più volte condannato per associazione mafiosa ed estorsione. Il suo nome si trova nelle inchieste “Arca” e “Tempesta” e, secondo le indagini, avrebbe sfruttato il suo inserimento nella consorteria mafiosa del mandamento di Alcamo (sin dai tempi della strage di Pizzolungo) per inserirsi, col “metodo mafioso” nel settore degli appalti pubblici. La sua appartenenza mafiosa sarebbe continuata anche oltre la prima sentenza di condanna risalente al 2000. Il suo patrimonio si sarebbe così espanso in modo esponenziale grazie anche al fatto di essere “a disposizione” della cosca fornendo rifugio e assistenza a latitanti del calibro di Giovanni Brusca, Vincenzo Milazzo e Nicolò Scandariato. La sentenza di condanna è divenuta definitiva il 25 febbraio 2009.
A lui sono stati sequestrati: Il 50 per cento delle quote e i beni aziendali della Calcestruzzi Castellammare s.r.l; le società Scopello Costruzioni s.r.l., CO.SI. s.r.l. e Del Ponte s.r.l.; il 49% della CE.RE.VE s.n.c. (revisione e riparazione di veicoli industriali); la società Maxim’s Bar di Filippazzo G. & C. s.n.c.; due imprese individuali; otto appartamenti a Castellammare del Golfo; dieci locali commerciali e uffici; venti magazzini e locali di deposito; sei villini a Scopello; 30 appezzamenti di terreno; 4 fondi agricoli con fabbricati rurali; venti veicoli di varia specie; conti correnti.
Diego e Ignazio Agrò sono stati arresti nel 2007 nell’operazione “Domino 2” scaturita dalle rivelazione del pentito Maurizio Di Gati, già campomafia della provincia di Agrigento, e condannati all’ergastolo nel 2009 per l’omicidio di Mariano Mancuso. I due imprenditori del settore oleario avrebbero intrattenuto rapporti con Salvatore Fragapane, Giuseppe Fanara e lo stesso Di Gati. A loro i due fratelli si sarebbero rivolti per tutelare la loro attività di presunti usurai fino a giungere all’eliminazione di Mancuso che si era rifiutato di restituire il denaro prestato a strozzo. Il sequestro nei loro confronti ha riguardato conti correnti, terreni e fabbricati nelle province di Agrigento, Messina, Brindisi e Perugia; due azinede e quote societarie di imprese del settore immobiliare e nella produzione e commercializzazione di olio alimentare.