PALERMO – “… Ho segnato tanti gol col sinistro ma forse il destro è il mio piede più forte!”. Josip Ilicic è “l’uomo partita Sky” e risponde alle domande del cronista con il suo italiano zoppicante ma finalmente comprensibile. L’abbiamo aspettato più di due anni, prima si esprimeva a monosillabi e non vedeva l’ora di scappar via, come se avesse paura di dire qualcosa di sbagliato o, peggio, non sapesse proprio cosa dire. Josip è un talento purissimo, possiede dei “numeri” spettacolari, inventa calcio e assist come sanno fare solo i veri campioni, ma nelle ultime due stagioni tutto questo “tesoro” lui se l’è tenuto nascosto, come se ne vergognasse. Ieri, invece, quando, a fine partita, gli piazzano, davanti agli occhi, il microfono, lui non ha quello “scarto” di rifiuto che gli veniva naturale prima: stavolta sorride, un pallido sorriso, che è il massimo che può concederci, ma è già tanto, lui che – fino a tre settimane fa – sembrava un “desaparecido”, e non solo in campo con le sue prestazioni impalpabili, ma anche lontano dal rettangolo di gioco: volevi bloccarlo per fargli due domande “en passant”, dopo l’allenamento, magari non ufficiali, magari non “pilotate” dalla Società, e lui filava via, come avesse visto il diavolo.
Poi è tornato Sannino e lui ha sentito come una scossa attraversarlo dalla testa al suo magico sinistro, e partita dopo partita, a cominciare da San Siro col Milan, per proseguire col bellissimo gol rifilato alla Roma alla vigilia di Pasqua, siamo arrivati a “Marassi”, e alla sua prova strepitosa contro i blucerchiati dell’ex più rimpianto a Palermo, dai tempi di Guidolin in poi. Un altro Ilicic o, meglio, quello che sembrava perduto per sempre, quello che con Pastore e Miccoli aveva deliziato per due stagioni i palati più raffinati di Palermo rosanero e dintorni, segnando gol meravigliosi, che erano scintille abbaglianti, tipo l’esterno sinistro al “Franchi” contro la Fiorentina o l’altro, messo a segno di destro, dopo un fulmineo uno-due con Pastore, alla Juventus. Un altro Ilicic, e si vede da come risponde alle (ovvie) domande del cronista di Sky: “I gol sono tutti importanti, ma l’essenziale è che finalmente giochiamo come squadra”. E poi: “Giochiamo partita dopo partita, cerchiamo di vincerne il più possibile, solo così possiamo salvarci”. Ed infine, quasi con un guizzo d’orgoglio: “Sì, vero, ho segnato tanti gol col sinistro, ma guardi che io forse sono più forte di destro!”. Come dire che quel gol, dopo dribbling ubriacante, finte e contro finte, partendo da meta campo sino ad arrivare nell’area piccola blucerchiata e freddare con un diagonale di destro Romero, non era affatto casuale “Perché di destro io sono altrettanto forte che col sinistro!”. Insomma, amici lettori, come tutti avranno notato, ammirati dalla gagliarda prestazione di ieri dei rosanero dentro il “fortino” della Samp, il Palermo è un altro Palermo. Finalmente.
Che poi è lo stesso Palermo, che Sannino aveva “dovuto” lasciare dopo solo tre partite, lo scorso settembre: con i Garcia, i Morganella, i Von Bergen, i Kurtic, I Rios, gli Ilicic e i Miccoli, che gli aveva affidato il duo Perinetti-Zamparini, nel torrido ritiro d’agosto di Malles. E che lui si caricò sulle spalle, forse con un pizzico di incoscienza, dichiarando a destra e a manca che “l’importante non è il singolo, magari superdotato, ma il gruppo, la squadra”. Così ha ricompattato i suoi fedelissimi undici del ritiro d’agosto, ha fatto accomodare in panchina tutto il resto, compresi i cosiddetti rinforzi di gennaio e ha ridato un volto umano alla sua squadra: “La lotta, innanzi tutto – ha annunciato, appena rimesso piede a Palermo – e con la lotta tornerà la fiducia nei nostri mezzi e la speranza non sarà più solo una parola, ma un “credo”, un imperativo: l’unica strada possibile per reinserirci ancora nella lotta per la salvezza… Il tempo c’è e i numeri sono ancora dalla nostra parte!”.
Sembrava retorica, un esercizio assai in voga tra gli allenatori d’oggidì, ed invece era forza mentale, psicologia, magari semplice, magari scontata, niente di originale, ma di una valenza esplosiva se ben adoperata, se ben inculcata nella testa e, soprattutto, nel cuore dei giocatori a sua disposizione. Come dire: non erano brocchi (o “resche”, come qualcuno di scarsissimo palato e pessimo buon gusto li ha reiteratamente definiti da settembre all’altro ieri) ad Agosto, non sono diventati fulmini di guerra, dopo queste due ultime, bellissime vittorie, contro Roma e Samp. E Sannino, che è uomo saggio oltre che allenatore guerriero che non conosce la parola “resa”, lo ho subito dichiarato, al termine del 2-0 contro i giallorossi di Totti: “E’ una vittoria che fa morale, ma è solo un passettino avanti: abbiamo ancora da percorrere una lunga strada in salita. Non ci resta che battagliare partita dopo partita e sperare che gli altri accusino qualche passo falso”. Insomma, il suo “manifesto”: prudenza, cautela, attenzione e, prima d’ogni altra cosa, restare concentrati sul “pezzo”, come se avessimo appena cominciato il campionato con un macigno sul groppone, ch’erano quei sei punti che ci separavano dalla quart’ultima.
Allora il Genoa, oggi con i grifoni, anche i bianconeri del Siena di un altro ex che non s’arrende mai, che somiglia da morire al nostro Sannino: parlo di Jachini, che ha rivitalizzato d’acchito la sua squadra, trasmettendogli subito la sua anima guerriera. Sarà questa la lotta, una spietata lotta a tre: Genoa-Palermo-Siena… e uno solo ce la fa! E domenica avremo il Bologna, all’ora di colazione e non dovremo certo fermarci lì. Ma vincere ancora e poi andare a Catania e affrontare il derby come fosse (perché probabilmente lo sarà) la partita della vita. Mi resterà impressa nelle pupille, ma ancor di più nel cuore, la stizza di Ilicic quando, dopo aver seminato in slalom uno-due-tre avversari, ha scoccato il suo magico sinistro, che, nell’occasione, magico non s’è rivelato, se la palla è volata alta, molto oltre la traversa della porta difesa da Romero. Se n’è dispiaciuto tanto lo sloveno, da caracollare fino alla panchina per farsi consolare dal suo allenatore. Che gli ha regalato una carezza tra guancia e collo, che era ad un tempo dolce come il miele e rassicurante come gli avesse detto: “Bravo, Josip, va’ avanti così e nessuno ti fermerà!”.