PALERMO – Tutto inizia nel 2008 con la creazione della società “Bet for Bet”. È il primo passo per fare il salto di qualità. La mafia non si accontenta dell’apertura di singole agenzie di scommesse, ma vuole aggiudicarsi le concessioni messe a bando dallo Stato. Ci riuscirà.
La ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia, che ha portato al blitz di oggi, passa dalla figura di Francesco Paolo Maniscalco, 57 anni. Storia giudiziaria tormentata quella di Maniscalco. Di lui si iniziò a parlare nel 1991 quando un commando svuotò il caveau del Monte di Pietà, a Palermo. Bottino: oro e gioielli per 18 miliardi di lire, di cui nulla si è più saputo. Del commando faceva parte Maniscalco. Nella sua fedina penale c’è anche una condanna definitiva per mafia con il suo nome legato a quello di Totò Riina (che lo definiva “un ragazzo con le palle).
Dopo avere finito di scontare nel 2006 sei anni e otto mesi di carcere Maniscalco si era lanciato nel mondo degli affari: caffè, bar e agenzie di scommesse. Cambiava continuamente i soci delle aziende, ne chiudeva alcune per aprirne poco dopo altre. Nel 2016 la nuova condanna per intestazione fittizia e il sequestro di beni, poi confiscati dal Tribunale per le Misure di prevenzione.
Ora la nuova inchiesta, coordinata dalla Dda, in cui i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria fanno emergere la trasversalità degli interessi economici di Cosa Nostra, di cui Maniscalco era il collettore. Il pentito di Belmonte Mezzagno Filippo Bisconti ha riferito di avere saputo da Paolo Calcagno, reggente del mandamento di Porta Nuova, che Maniscalco “si recava spesso a Roma per investimenti nel settore delle rosticcerie e ristorazione, ma anche in altri settori come in quello del gioco”.
Al business delle scommesse sono interessati, in maniera più o meno diretta, personaggi dei mandamenti mafiosi Porta Nuova, Pagliarelli, Brancaccio, Noce e Santa Maria di Gesù.
Il 50% della “Bet for Bet” è detenuto da Salvatore Rubino. Il rappresentante legale della società, nonché titolare del restante 50% delle quote, è Girolamo Di Marzo. Successivamente, attraverso la società Sisca nella compagine scoietaria sono entrati i fratelli Elio e Maurizio Camilleri. I Camilleri ad un certo punto hanno scelto di farsi da parte dopo essersi accorti che i conti non tornavano. La liquidazione delle loro quote fu stabilita in 567 mila euro nel corso di alcune riunioni a cui partecipano, oltre a Rubino e ai Camilleri, anche il capomafia di Pagliarelli Settimo Mineo e il suo braccio destro Salvatore Sorrentino. I termini dell’accordo li spiegava lo stesso Rubino a Sorrentino, intercettati nel 2017: “… rientro nella stanza e Franco (maniscalco, ndr) mi fa… dice Salvo, da questo momento fatti la tua strada, loro non fanno più parte della tua società… Elio mi fa a me: scendi da Maurizio, da mio fratello, e gli dici che la situatone è conclusa, fate solo i conti”.
I finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria fanno risalire la contiguità mafiosa dei fratelli Camilleri (a cui è stato imposto il divieto di dimora a Palermo) ai rapporti con Francesco Paolo Barone, un tempo cassiere e poi reggente del mandamento di Pagliarelli, oggi deceduto. Al momento dell’arresto di Barone, nel 2004, gli investigatori trovarono a casa sua un libro mastro, in cui si faceva cenno al pub Batavia di viale Strasburgo, a Palermo, di proprietà dei fratelli Camilleri.
È lo stesso Salvatore Rubino a spiegare che i soldi investiti nel business delle scommesse “erano di altre persone e non suoi… i soldi che investiva con me”. Nel 2013 la “Bet for Bet” si aggiudica una concessione dai Monopoli di Stato per la raccolta delle scommesse, quindi si spoglia dei beni e li cede alla neonata Tierre Game. Ed è proprio la Tierre Game, la cui gestione sarebbe affidata a Vincenzo Fiore e Christian Tortora, ad aggiudicarsi i diritti statali sulle scommesse versando 819 mila euro. Poi, attraverso ulteriori acquisizioni societaerie, il numero delle concessioni è aumentato. Il volume di affari di “Bet for Bet” passa da 8 milioni nel 2013 a 27 nel 2014 a 62 milioni di euro nel 2015.
Quando i Camilleri lasciano la società è Manisalco a garantire che non si rompa il giocattolo. E lo fa nel corso di alcuni incontri alla “bottega” di Rubino in via Emiliani Giudici. Rubino snocciolava la cifre: “… lui dice che avanza 170.000.. lui non avanza niente, avanza la banca che è una fideiussione, i soldi, 560.000 euro sei li è presi tutti…”. Per uscire dalla società ai Camilleri sarebbe andato poco più di mezzo milione di euro nel 2017.
Nettamente inferiore la cifra – 50 mila euro – ma molto più complicata la restituzione del denaro chiesta da Salvatore TotuccioMilano, mafioso di Porta Nuova e un tempo cassiere del mandamento. Secondo gli investigatori Milano avrebbe investito nell’affare delle scommesse 50 mila euro in realtà destinati ad aiutare i carcerati. O meglio è Maniscalco a dirlo a Sorrentino: “I soldi dei cristiani, i piccioli dei carcerati”. E Sorrentino aggiunge sprezzante: “Ma veleno fanno sti ciccioli… veleno fanno … che schifo, meglio in mezzo la strada”. I soldi a Milano sarebbero stati restituiti a rate. A ritirare i soldi andò anche la sorella di Totuccio, Angela, vedova di Giuseppe Greco, fratello di Michele Greco, il ‘papa’ della mafia”.
Agli atti dell’inchiesta c’è un messaggio di Salvatore Cillari, altro personaggio di Palermo Centro (è fratello di Gioacchino, boss ergastolano e di Giovan Battista e Antonino già condannati per mafia), a Rubino in cui si fa riferimento a 24.400 euro che servono per comprare dei farmaci di cui non sé trovata traccia nella vita reale. Così come non trovano giustificazione i passaggi di denaro dalle mani di Giovanni Di Noto, della Noce.
Nel novembre 2017 Di Noto, considerato l’alter ego del boss della Noce Giovanni Musso, entrambi detenuti, è stato in Calabria “per fare la chiusura mese”. Dopo aver fatto rientro a Palermo i finanzieri lo hanno visto arrivare con una borsa di colore nero nella bottega di via Emiliani Giudici.
A completare gli intrecci ci sono anche gli incontri fra Maniscalco ed Enrico Splendore, il cui patrimonio è stato sequestrato nel marzo 2019. “Aveva il banco del totonero nella zona di Corso dei Mille”, raccontò il pentito Andrea Bonaccorso, il primo a fare il nome di Splendore. Erano gli anni in cui le scommesse sportive venivano raccolte in maniera clandestina. Non c’era ancora stato il boom delle agenzie, poi spuntate ad ogni angolo di strada. Maniscalco si sarebbe rivolto a Splendore per l’apertura di alcune nuove agenzie. Infine ci sono i riferimenti a personaggi di Santa Maria di Gesù, tra cui Francesco Di Gregorio, che avrebbero gestito delle agenzie di scommesse per conto della Tierre Games.