Quattro pilastri per costruire un nuovo fisco - Live Sicilia

Quattro pilastri per costruire un nuovo fisco

Una riforma è quanto mai necessaria. Sarà la volta buona?

Giungono notizie rassicuranti, ma non troppo, sul destino dei nostri contribuenti chiamati a pagare, in base alle disposizioni attualmente in vigore, secondo le normali scadenze, tutti i tributi dovuti a partire da giugno di quest’anno nonché, a partire dal prossimo mese di settembre, quelli riferiti al periodo del look down (marzo, aprile e maggio) e sospesi in forza dei tre decreti legge emanati (Curaitalia, Liquidità e Rilancio).

Meglio di niente

Le notizie rassicuranti sono quelle che provengono direttamente dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Gualtieri il quale, nel corso dell’audizione lo scorso 28 luglio presso le Commissioni Riunite Bilancio della Camera e del Senato, nonchè riferendo al Senato in sede di approvazione dello “scostamento di bilancio”, ha assicurato un nuovo intervento, non per sospendere ulteriormente i tributi, ma solo per dilazionarli, spalmando le somme ancora da pagare in un periodo che potrebbe arrivare anche fino al 2021.

L’unica proroga possibile, secondo Gualtieri, potrebbe essere quella che riguarda la ripresa della riscossione dall’Agente della Riscossione, che potrebbe slittare di due messi, ossia fino al 31 ottobre 2020.

Non era questo ciò che i contribuenti italiani, ancora a corto di liquidità causa pandemia, chiedevano. Ma, come si suol dire, “meglio di niente”.

Dalla competenza alla cassa

Gualtieri ha anche annunciato una sostanziale rivisitazione dell’attuale sistema fiscale, basato essenzialmente sul criterio della “competenza”.

Accogliendo, infatti, la proposta del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Ruffini, il Ministro dell’Economia ha ipotizzato un sistema tributario rivoluzionario, all’inizio applicabile solo ai contribuenti in regime forfettario ed a quelli in contabilità semplificata, il quale, abbandonando il classico sistema della “competenza”, seguirà il criterio “di cassa”, un criterio, cioè, che vedrà dovuta l’imposta non tanto nel momento in cui fiscalmente l’operazione si considera effettuata, bensì nel momento in cui si verifica l’effettivo incasso del corrispettivi/compenso, e l’effettivo pagamento del costo, forse anche quello relativo ai beni ammortizzabili.

Un sistema non solo più semplice di quello attuale, non solo più coerente con il principio della debenza del tributo in relazione alla effettiva manifestazione di capacità contributiva, ma anche tale da potere consentire, anche grazie alla fatturazione elettronica ed alla trasmissione telematica dei corrispettivi, di conoscere in maniera precisa le somme che i contribuenti devono pagare periodicamente, magari a loro segnalate direttamente dall’Agenzia delle Entrate con una “precompilata” specifica per le “partite IVA”, nonché dilazionabili nel corso dell’anno attraverso delle liquidazioni periodiche che, proprio grazie a tale sistema, farebbero venir meno la necessità dei versamenti dell’acconto e del saldo, attualmente in vigore.

Non sappiamo quanto di tutto questo verrà realizzato.

Sappiamo però che una riforma fiscale, caratterizzata da una “vera” semplificazione è ormai assolutamente improcrastinabile.

Superare la confusione fiscale

Come già detto tante altre volte, la confusione fiscale (confusione degli adempimenti, ma anche delle stesse norme) non solo allontana la tanto auspicata “tax compliance”, unico vero rimedio per ridurre l’evasione fiscale, ma crea una “zona grigia” nella quale non solo l’evasione ma tutto il malaffare, più in generale, prolificano in abbondanza.

In effetti (ma questa, forse, è solo utopia), in un sistema tributario moderno e corretto sarebbe necessario che i tributi vengano “accettati” dai cittadini.

Questi, infatti, nel pagarli, devono essere convinti che il prelievo fiscale che subiscono è adeguato ai servizi pubblici che ricevono dallo Stato nonchè conforme al principio della distribuzione della ricchezza, ossia al principio secondo il quale la ricchezza, proprio attraverso l’applicazione dei tributi, viene spostata dal “più ricco” al “più povero”, per consentire a tutti (sia al più ricco che al più povero) di fruire dei servizi pubblici in maniera assolutamente uguale.

Va detto, per la verità, che la fiducia verso le Istituzioni e l’ “accettazione” dei tributi dal parte dei cittadini è un concetto che negli ultimi anni, con il nome di “tax compliance” o di “adesione spontanea all’obbligazione tributaria”, viene ripetuto molto spesso. Anzi, viene pubblicamente riconosciuto come uno degli obiettivi prioritari degli uffici fiscali.

Ma in realtà pare che si faccia tutto il contrario. Gli obiettivi, infatti, li conosciamo tutti, ma sul modo per raggiungerli le idee sono estremamente confuse.

Sono decenni che si parla di semplificazione della Pubblica Amministrazione e del fisco in particolare.

Ma, nonostante le chiarissime opinioni manifestate non solo di tutti gli addetti ai lavori, ma anche dei vertici della Pubblica Amministrazione Fiscale, e nonostante anche l’emanazione di diverse disposizioni dichiaratamente semplificative ma, sostanzialmente, complicative, la musica è rimasta sempre la stessa. Norme tutte da interpretare, proliferazione degli adempimenti giustificati dall’esigenza di contrastare l’evasione, frammentazione dei tributi, pessimo rapporto tra gli uffici fiscali ed i cittadini. In pratica, tutto il contrario di quello che prevede lo Statuto dei Diritti del Contribuente.

I quattro pilastri

Ecco quindi che una vera semplificazione dovrebbe prendere spunto da queste criticità che evidenziano quattro concetti (norme chiare, adempimenti ridotti al minimo, unificazione di alcune delle diverse tipologie di tassazione esistenti, miglioramento del rapporto con gli uffici fiscali), concetti che costituiscono i “pilastri”, sui quali un nuovo fisco e, più in particolare, un nuovo rapporto tra il fisco ed i contribuenti, dovrebbe essere fondato.

Primo pilatro (Chiarezza delle norme).

Da fonti governative pare (sarebbe impossibile conoscere con esattezza la loro quantità) che le disposizioni legislative oggi vigenti sino più di 100.000.

Da una indagine condotta dalla Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti i cui dati sono stati pubblicati da un noto quotidiano economico nazionale, dal 2008 al 2017 le circolari dell’Agenzia sono state ben 490, le risoluzioni 1.768 ed i Provvedimenti del Direttore della stessa Agenzia delle Entrate ben 2.023. Il tutto corrispondente a quasi 50.000 pagine.

Già questi dati sono sufficienti per far capire quanto sia difficile per il normale contribuente, ma anche per il professionista super specializzato, e nonostante il noto principio secondo il quale “ignorantia legis non excusat”, conoscere tutte le disposizioni fiscali che il contribuente italiano deve ed applicare per evitare di incorrere in sanzioni, amministrative e penali.

Ma le difficoltà non sono solo queste. Anche se si conoscessero tutte le disposizioni vigenti, c’è un altro grosso problema, ossia quello della chiarezza. Se in dieci anni sono state scritte 50.000 pagine per interpretare le disposizioni fiscali un motivo ci sarà stato sicuramente. L’attività, estremamente meritoria, dell’Agenzia delle Entrate, infatti, è stata quasi sempre indispensabile (seppure qualche volta con interpretazioni “prudenziali”, ossia “pro fisco”) per chiarire o dare un senso a alcune norme che, così come erano state pubblicate in Gazzetta Ufficiale, non riuscivano a rendere sufficientemente chiara la volontà del Legislatore.

Capita, infatti, che spesso le norme che vengono pubblicate, a causa dei consueti contrasti parlamentari, seppure concepite correttamente dai “tecnici” del Parlamento o del Governo, alla fine vedono la luce in modo completamente diverso da come erano state scritte all’origine.

Ecco, quindi, che se si vuole aumentare l’adesione spontanea e diminuire il contenzioso, occorre che le disposizioni siano non solo di facile applicazione, ma anche formulate in maniera tale da potere essere applicate senza problemi da chiunque, oserei dire senza bisogno del professionista super specializzato, perché non accada quello che spesso succede nella realtà, e cioè che l’evasione sia una conseguenza delle difficoltà che il cittadino incontra nell’applicare le leggi.

Magari, così come auspicato da moltissimi anni, con l’emanazione di testi unici contenenti, distintamente per categoria di tributi (Imposte Dirette, Imposte indirette, Tributi locali), tutte le disposizioni che devono essere applicate, da cercare, trovare ed eseguire facilmente.

Secondo pilastro (Adempimenti fiscali ridotti all’indispensabile)

Gli adempimenti tributari dovrebbero essere strumentali all’applicazione dei tributi. Purtroppo, però, non sempre è così. Anzi, potremmo dire che tutti (o quasi) gli adempimenti previsti dalla legge sono stati introdotti con il malcelato scopo di contrastare l’evasione fiscale.

Ed invece, dovrebbe accadere tutto il contrario. E’ proprio la proliferazione degli obblighi fiscali che crea confusione, crea cioè quella “zona grigia” che rappresenta per l’evasore il modo migliore di celare il suo incivile comportamento.

Gli adempimenti da ridurre non sono solo quelli dichiarativi, ma anche tutti gli altri, sempre introdotti con l’obiettivo di creare sistemi ritenuti stringenti per l’evasione.

Un sistema di pagamento forfettario dei tributi più importanti, come l’IVA e le imposte dirette, con una sola aliquota, con pochissimi adempimenti amministrativi e con versamenti magari diluiti nel corso dell’anno, non credo che comporterebbe una diminuzione di gettito, bensì un notevole incremento in quanto attrarrebbe verso la legalità molti contribuenti i quali, attualmente scoraggiati dalle difficoltà applicative delle norme tributarie, preferiscono restare nell’ombra, magari confidando nel basso rischio di controlli.

Anche una revisione e diminuzione del numero delle aliquote IVA costituirebbe un modo per semplificare i calcoli per la determinazione dell’imposta da versare, magari lasciando immutato il relativo gettito attuale.

Terzo pilastro (Accorpamento di alcune tipologie di tributi)

Qualche anno fa, per la verità, uno sfoltimento dei tributi è stato fatto. Continuano ad esistere, però tributi che, pur comportando un gettito abbastanza modesto, crea non solo difficoltà nell’adempimento da parte del contribuente, ma anche eccessivo lavoro (nonostante l’informatizzazione) per l’Amministrazione Finanziaria per il relativo accertamento e la conseguente riscossione.

E’ assurdo, per esempio, mantenere l’imposta di bollo, spesso commisurata al numero delle pagine di un documento, che probabilmente costa di più all’Amministrazione Finanziaria per l’emissione, da parte dei rivenditori autorizzati, dei contrassegni telematici.

E’ assurdo mantenere l’IRAP, un tributo regionale che continua a causare notevolissimi problemi, magari trovando un modo per compensare il conseguente minor gettito delle regioni.

E’ illogico, in materia di tributi locali, mantenere due tributi, IMU e TARI (fino a poco tempo fa c’era pure la TASI), con percentuali e scadenze differenti, diverse anche nei comuni d’Italia, quando, invece, si potrebbe ipotizzare una tassazione che, in modo unitario, con scadenze uguali in tutta Italia, magari, in caso di presenza immobiliare nel patrimonio, con due componenti, una (la componente “patrimoniale” della tassazione) proporzionale al reddito catastale dell’immobile, l’altra commisurata invece all’entità del servizio per lo smaltimento dei rifiuti urbani effettivamente reso ai cittadini.

Insomma, una rivisitazione di tutti i tributi esistenti, non tanto per diminuire la pressione fiscale, diminuzione comunque fortemente auspicata, ma principalmente per eliminare complicazioni, per i cittadini e per la stessa Amministrazione, che certamente non giovano alla semplificazione ed alla tax compliance.

Quarto pilastro (Rapporto fisco contribuente)

Questo, forse, è la parte più importante della riforma fiscale.

A tale scopo, appare fondamentale un’applicazione più rigorosa dello Statuto dei Diritti del Contribuente. Come è noto, infatti, la mancanza del carattere di norma costituzionale della legge 27 luglio 2000 n.212, fa sì che la tessa possa essere violata da chiunque, compresi (forse principalmente) lo stesso Legislatore e l’Amministrazione Finanziaria. Riconoscendo, tuttavia, le difficoltà di rendere costituzionale la citata legge, dovrebbe essere emanata un’altra disposizione legislativa che renda le disposizioni dello Statuto maggiormente vincolanti per il Legislatore e per l’Amministrazione Finanziaria.

Forse, se lo Statuto venisse applicato così come era stato scritto da colui il quale l’ha concepito, probabilmente non occorrerebbero altre norme per rendere il rapporto fisco contribuente effettivamente fondato sulla fiducia e, pertanto, molto più sereno e meno conflittuale.

Ma purtroppo sarà difficile ottenere questo risultato.

Ed allora pensiamo di migliorare alcune disposizioni già esistenti.

Si potrebbe pensare, per esempio, ad un utilizzo più generalizzato del contraddittorio preventivo (o endoprocedimentale), magari così come già accade in Sicilia a seguito delle istruzioni date dal Direttore Regionale dell’Agenzia delle entrate dell’Isola, Stellacci, volte ad incoraggiare gli uffici al confronto con i contribuenti, e non solo nei casi espressamente e tassativamente previsti dalla legge, ma anche in tutti gli altri casi, compresi i controlli “a tavolino”.

Si potrebbe pensare di migliorare il sistema sanzionatorio amministrativo tributario, spesso eccessivamente rigoroso, quasi sempre difficile da applicare, come accade, per esempio, nel caso di cumulo giuridico o di ravvedimento operoso.

Un cumulo giuridico formulato in maniera più semplice semplificherebbe il lavoro degli uffici e renderebbe più trasparente l’irrogazione delle sanzioni.

Un “ravvedimento operoso” meno complesso di quello oggi esistente, magari calibrato esclusivamente sul ritardo dell’adempimento, e, perché no, con una definizione più precisa del “lieve inadempimento”, quello che non determina sanzioni oppure la decadenza da agevolazioni o rateizzazioni già concesse, darebbe più fiducia ai contribuenti, consapevoli che all’errore si può sempre rimediare, senza conseguenze catastrofiche.

Si potrebbe pensare di rendere applicabile, anche nei casi diversi da quelli (riguardanti l’attività dell’Agente della riscossione) attualmente presi in considerazione della Legge 228 del 2012 (“sospensione legale della riscossione”), una sospensione legale di alcune tipologie di atti amministrativi degli uffici fiscali (con esclusione degli avvisi di rettifica e di accertamento), in relazione ai quali il contribuente, ritenendo di essere destinatario di un atto illegittimo, magari responsabilizzato penalmente, potrebbe ottenerne la sospensione e, successivamente, in caso di silenzio dell’ufficio, l’annullamento automatico, senza bisogno di dovere dimostrare, seguendo le consuete procedure, molto lunghe e complesse, la correttezza del suo comportamento e l’errore dell’ufficio.

Quelli ora cennati sono solo i concetti fondamentali della semplificazione: I “pilastri”.

Occorrerebbe urgentemente, per la verità, anche una riforma della Giustizia Tributaria. Un’operazione auspicata da diverso tempo, principalmente per migliorare l’attuale indipendenza dei giudici, logisticamente ancora dipendenti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, riforma che ha già visto diverse proposte legislative, ma che, forse, è ancora lontana dal momento della sua realizzazione

Speriamo che il Legislatore ne tenga conto, evitando di continuare a privilegiare i vecchi sistemi di normazione e di caccia disordinata all’evasione, dimenticandosi completamente della tax compliance.

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