La gratitudine, più forte di tanti altri sentimenti - Live Sicilia

La gratitudine, più forte di tanti altri sentimenti

Non potrei ricordare Francesco in modo onesto se non spiegassi cosa sia stato per me l’incontro con lui

Attorno alla tavolata dei sentimenti umani, ce n’è uno che di solito sta in disparte. Osserva tutto, ma non parla molto. E, spesso, non viene nemmeno interpellato. È il sentimento della gratitudine. Ma averne a che fare, rende fortunati. Così è stato per me. E mi riferisco al rapporto con Francesco. E scusate se scendo nel personale e se la butto sul sentimentale. Ma così è. E non potrei ricordare Francesco in modo onesto, in modo fedele, se non spiegassi cosa sia stato per me l’incontro con lui. E posso farlo con ancora maggiore lucidità oggi, in questo periodo in cui mi sono allontanato dal “suo” giornale, per svolgere un altro lavoro, in un’altra città, in un altro contesto. Lontano da tutto ciò che, anche fisicamente, materialmente mi lega a lui.

Dopo avere ricoperto il ruolo che fu suo, per due anni e mezzo, con la consapevolezza di essere lontano anni luce da lui, ma anche con la “condanna” di fare questo mestiere nell’unico modo che conosco, cioè quello che lui mi ha insegnato. Qualcuno parlerebbe di eredità. E io, dell’eredità di Francesco, avevo cominciato già a goderne negli anni in cui lui era presente. Gli anni in cui Francesco regalò a me, ultimo arrivato di una squadra di professionisti da lui scelti e a lui legatissimi, un privilegio che oggi appare sempre più sottovalutato: quello di farmi da maestro. Quello, cioè, di insegnarmi un lavoro. Un mestiere. E, forse inconsapevolmente, quello di aiutarmi a crescere come persona, come uomo. Perché mentre Francesco mi spiegava “l’attacco del pezzo”, provava a insegnarmi il coraggio. Mentre mi mostrava come verificare una notizia, mi spiegava la preziosità di un racconto onesto, il rispetto per il lettore.

Quanto di questa eredità abbia messo in pratica negli anni, ovviamente, non posso dirlo io. Assai poco, direi a un primo sguardo, e non certo per modestia – falsa o reale che sia -. E qui attraversiamo i confini del ricordo personale e sconfiniamo nel grande prato del giornalismo siciliano. Ecco, credo che da sei anni, in Sicilia, sia cambiato qualcosa. Credo che quel vuoto non sia stato riempito. Come se l’arcobaleno del nostro giornalismo abbia perduto, irrimediabilmente, uno dei suoi colori. E in quel colore c’era l’intelligenza di un cronista-direttore-editore che amava usare il filo dell’ironia, della provocazione, dell’irriverenza, del sorriso, come nessuno, oggi, sembra in grado di fare. Il sorriso. Lo ricordano bene Gery, Antonio e Roberto, e io mi accodo. Lo sappiamo tutti noi che lo abbiamo conosciuto. Che abbiamo vissuto con lui lunghe giornate. Se pensiamo a Francesco, pensiamo innanzitutto al suo sorriso. Anche a quel sorriso che ti sfotteva e ti punzecchiava. Il sorriso che diventava idea. Oggi che sono lontano da quelle stanze, oggi che mi accorgo in modo definitivo di quanto l’incontro con Francesco sia stato decisivo per la mia formazione, per la mia vita, oggi che ho la prova che quel poco che so – e che ho imparato da lui – può essere riconosciuto e apprezzato anche altrove, ecco, oggi a me resta quel sentimento. Resta la gratitudine. Che, lo scopro crescendo, è più forte di tanti altri sentimenti umani. E, quando è vera, sa scardinare le porte del tempo.

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