CATANIA. Sul banco dei testimoni arriva l’ora della deposizione della compagna di Rosario Palermo, l’imputato, colui che secondo la Procura di Catania avrebbe ucciso Agata Scuto – la ragazzina disabile di 22 anni sparita nel nulla il 4 giugno 2012 da Acireale, per nascondere di aver avuto una relazione clandestina con lei e perché non si sapesse che l’aveva messa incinta – disfacendosi poi del cadavere e facendo sì che non venisse mai rinvenuto. La testimonianza della sua attuale compagna è importante e attesa, anche se tecnicamente la donna potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere, dato che in passato l’hanno accusata di aver aiutato Palermo a eludere le indagini a suo carico, un’ipotesi di favoreggiamento.
La sua testimonianza è in programma lunedì a Catania, dinanzi al Tribunale, in un processo che è sempre più nel vivo e che viene interamente ripreso dalle telecamere della nota trasmissione di Rai3 “Un Giorno in Pretura”. Alla scorsa udienza avevano deposto gli assistenti sociali che hanno seguito Agata, negli ultimi anni, citati dal Pm Antonino Fanara – il sostituto procuratore di Catania che ha coordinato l’indagine dei carabinieri della Compagnia di Acireale e del reparto operativo del Comando provinciale catanese – per ricostruire la personalità della vittima, una ragazza molto riservata, che non sarebbe stata autosufficiente e che avrebbe avuto difficoltà ad aprirsi con gli altri.
In aula poi lunedì deporranno anche altri testimoni dell’accusa, degli investigatori citati dal pubblico ministero per ricostruire le indagini svolte. Palermo, si ricorda, è difeso dall’avvocato Marco Tringali e si è sempre professato innocente. Bisogna precisare che l’uomo risponde di omicidio e di occultamento di cadavere: secondo gli investigatori, avrebbe cercato di crearsi un alibi per il giorno della scomparsa, ma questo non avrebbe fatto altro che acuire i loro sospetti; prima che arrivasse l’elemento principale dell’accusa: delle dichiarazioni ritenute autoaccusatorie dell’imputato.
Parlando da solo, in macchina, a un certo punto dice che avrebbe preso l’ergastolo, prima di imitare la voce di un giudice che lo assolve dicendogli: “Lo sappiamo che non sei stato tu”. L’accusa di omicidio è aggravata dall’aver commesso il fatto ai danni di una persona portatrice di handicap e di aver agito per motivi abietti, costituiti come detto dall’intento di nascondere la gravidanza e continuare, all’epoca, la relazione con la madre della ventiduenne.