PALERMO – Era stata tradita dal compagno e così l’avvocatessa Angela Porcello, che dice di essere affiliata a Cosa Nostra agrigentina, si sarebbe rivolta ai boss che contano per richiamare all’ordine il compagno: non meritava di essere più considerato un uomo d’onore.
Come se nella mafia ci fosse onore. La storia obbliga a riportare le lancette indietro nel tempo. Faccenda meritevole di un’analisi sociologica ancora prima che per i suoi, seppur presenti, elementi di rilievo penale. Un rilievo che, però, esiste e finisce per confermare alcuni ruoli mafiosi.
Nel febbraio dell’anno scorso finiscono in carcere una trentina di persone accusate di avere fatto parte delle famiglie mafiose trapanesi e agrigentine. Tra di loro anche l’imprenditore Giancarlo Buggea e la compagna e avvocato penalista Angela Porcello, oggi cancellata dall’ordine.
Ed è tramite Buggea di Canicattì che la donna, così lei stessa racconta, sarebbe entrata in Cosa Nostra. Porcello aveva detto di volere collaborare con la giustizia, ma la Procura non aveva creduto alla sua reale volontà di pentirsi. Nei giorni scorsi Porcello ci ha riprovato: “Voglio pentirmi”, ha scritto in una lettera depositata al processo che la vede imputata
Agli atti dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Gianluca De Leo, Claudio Camilleri e Francesca Dessì c’è un’intercettazione nei mesi precedenti al suo arresto.
Buggea l’aveva tradita e meritava una punizione. Buggea e Porcello non sono sposati (legame che prima era obbligatorio fra gli affiliati a Cosa Nostra), ma la loro relazione era ufficiale. Una ufficialità in nome della quale l’avvocato aveva preso l’iniziativa di parlare del tradimento subito a Luigi Boncori, considerato il capomafia di Ravanusa, che dall’alto dei suoi quasi settant’anni avrebbe recepito il senso delle sue parole.
Come emerge dall’intercettazione di una conversazione con Giuseppe Giuliana, pure lui imputato, Porcello aveva spiegato a Boncori che Buggea doveva togliersi “la giacca”, non meritava di indossarla. E Boncori le avrebbe suggerito di parlarne con il capomafia agrigentino Giuseppe Falsone, di cui Porcello era legale. Durante un colloquio in carcere, approfittando della sua professione, avrebbe dovuto spiegare a Falsone che toccava al boss detenuto al 41 bis, che lo “aveva fatto uomo” d’onore, decidere di “scendere” Buggea dal suo ruolo.
Falsone, dunque, avrebbe dovuto cacciare Buggea da Cosa Nostra perché un uomo d’onore non tradisce la moglie e, i tempi cambiano, neppure la compagna. Un episodio che conferma una serie di elementi: Porcello fa parte, come lei stessa dice, di Cosa Nostra. Era in contatto con mafiosi anziani del calibro di Boncori. E, soprattutto, aveva un canale diretto di comunicazione con Falsone, il quale nonostante si trovi al carcere duro, viene chiamato in causa per le decisioni che contano.