PALERMO- “Aldo aveva un bel modo di camminare. Era un uomo di altri tempi per attenzione, gentilezza, delicatezza e anche carattere. Ma un uomo di questi tempi che lasciava a ognuno la possibilità di fare le sue scelte”. Aldo Mirabella era un professore di Scienze naturali del liceo scientifico ‘Einstein’. E’ morto qualche giorno fa. Aveva sessantacinque anni. Si direbbe una consueta notizia del disastro. Si nasce, si muore.
Ma poi ci sono le vibrazioni che ogni esistenza suscita al suo passaggio. Questo docente amatissimo, nella trasparenza del commiato, ha assunto la forma di un’assenza quasi inaudita. La sua scuola si è fermata mercoledì scorso per i funerali al cimitero di Sant’Orsola. Ragazzi e ragazze vestiti di scuro in lacrime. Colleghi affranti. E un mormorio sui social che narra lo scorrere di un dolore diffuso. Come la voce dell’incipit, protetta dalla discrezione, che ancora riannoda le memorie : “Lui aveva saputo di poter andare in pensione. Gli dispiaceva lasciare i ragazzi. Aveva molta cura verso le piante, gli animali. Se un suo amico era in difficoltà, non si voltava dall’altra parte. Quando era in contatto con gli allievi, si rigenerava. I professori ai consigli di classe speravano nella sua presenza perché mediava”. Ce n’è abbastanza per avere voglia di saperne di più, di recarsi nei luoghi in cui una storia si è sedimentata.
Il liceo scientifico ‘Albert Einstein’ è un istituto un po’ sgarrupato, in fondo a un budello che approda a uno slargo presidiato dal venditore di pane e panelle, appostato per la ricreazione. Una scuola come tutte: la trincea dell’alleanza tra studenti e professori nel segno di una comune lotta contro la rassegnazione. I secondi impegnati a non ammainare bandiera nel tempo che non sa che farsene della cultura. I primi che tentano di respirare mentre, ovunque, si consumano pessimi vaticini sul destino di chi è giovane: non avrai lavoro, né famiglia, né speranza, figlio mio. Qui, Giuseppe Polizzi, un preside attento alla sua comunità, ha interrotto l’attività didattica per le esequie. Il liceo si è bloccato per il prof scomparso.
Una scala che conduce al primo piano. L’ombra iniziale del cordoglio appartiene a Rosaria Lo Voi che sovrintende alla circolazione in corridoio e ne scioglie i grumi: “Sono qui da quattro anni. Il professore Mirabella era famoso per la sua gentilezza. Non era condiscendente con gli studenti, ma cortese. Sapeva compenetrarsi nelle esigenze e nei problemi. Era stato male e pareva che si fosse ripreso. Poi era tornato e si capiva che le condizioni di salute stavano peggiorando. Però non abbiamo sentito mai un lamento, mai un segnale di impazienza”. La collega di Rosalia, Paola Di Modica, completa: “Un signore, che trasmetteva qualcosa di duraturo”.
La scuola, intanto, incede con il disbrigo pratiche di ogni giorno, la monotonia che proietta l’illusione della sicurezza nel ripetersi del rito. I ragazzi che salgono le scale in un vocio indistinto. I professori che entrano ed escono dalle porte girevoli delle classi. Tutto riporta alla trama di una felice imperfezione. Le penne che non scrivono, che si inceppano. La capitale del Burkina Faso che non rammenti mai – si chiama Ouagadougou, uno scioglilingua -. I versi di Orazio chissà dove saranno? Anche il professore Francesco Scrima, che insegna italiano, scrive poesie. Per il suo compleanno, per ringraziare gli amici, ha pubblicato su facebook, ‘L’acrobata’: “Lungo il filo sottile quando è in alto non guarda giù: che importa la terra a chi vola in cielo?”. Non era dedicata ad Aldo Mirabella, ma calza perfettamente. Ora il prof lo commemora: “Una persona estremamente perbene”. Ecco il vicepreside Fabio D’Agati: “Era con noi da venticinque anni. La perdita è incalcolabile”.
Tuttavia, per saperne davvero di più è opportuno aprire la porta girevole ed entrare in una delle classi di ‘Aldo’. Lì dove telegrafava un po’ di vita, col necessario pretesto di chimica e biologia.
Sembra il ventre del pescecane di Pinocchio, l’aula in chiaroscuro. Le fisionomie e le biografie si svelano al lume di uno spiraglio crescente. Oltrepassare quell’ingresso, da adulti, significa accorgersi di una strana circostanza. La lavagna si è rimpicciolita. Oppure, tu sei cresciuto. E i ragazzi – seppure diversi per identità, usi e costumi – appaiono scolpiti con uno scalpello perenne. Quello imbronciato, con la capigliatura rockettara e il cuore bambino. Quello che si nasconde all’ultimo banco, ignaro: non sa che il prof guarderà proprio lui, perché ha imparato prima di lui a nascondersi male. Quello innamorato pazzo che si dichiarerà, forse, alle soglie della pensione. Quella che ricopia pensieri su un foglio clandestino. Quella sognante, con le mani intrecciate, lo sguardo perduto; pare che sia qua, invece immagina altrove. Quella timida che ha dentro di sé, senza leggerle, le parole dei poeti.
In cattedra la professoressa Agata Spoto: “Aldo Mirabella sapeva ascoltare e chinarsi sul prossimo, chiunque fosse. Siamo arrivati all”Einstein’ praticamente uno dopo l’altro. Accudiva gli studenti, li scusava, senza rinunciare mai all’autorevolezza del ruolo. Era preparatissimo e impegnato sul fronte sindacale. Ai suoi funerali c’erano allievi di dieci anni fa. Piangevano. Venivano da me: ‘Professoressa, ricorda?’. Mi sono tuffata in cento braccia. Alla fine era come se Aldo volesse restare da solo. Non rispondeva, non chiacchierava più con dolcezza, si sottraeva. Magari era già un presagio”.
Nel memoriale di facebook, nel frattempo, il lutto si sovrappone alla tenerezza: “Parlavamo di scienza ma anche di musica e chitarre, passione questa comune ad entrambi”. “Un grandissimo maestro che porterò sempre nel cuore”. “Una perdita immensa per la scuola ma soprattutto per i giovani”.
Interrogazione a sorpresa: com’era il prof? Risponde lei, timida, minuta, primo banco: “Era buono. Ci ascoltava. Ci ha dato tanto. Non lo dimenticheremo”. E un sussurro di assenso copre le lacrime e i bisbigli dell’addio. Questo addio, la lezione più difficile.
Allora capisci a che serve la scuola, a che serviva, quando la lavagna era monumentale. Piccole anime che vorrebbero uscirne, bruciare in fretta i baci sotto la pioggia e il diario. Grandi anime che chiedono appena di potere rimanere piccole. E non importa più se scordi i particolari; basta non smarrire certi professori che volavano con ali smisurate come la lavagna. Un bel modo di camminare.
E non contano più le capitali, le tabelline. Conta la strada che ti accompagna in classe nella tua momentanea eternità. E chissà cosa mai scriveva il poeta Orazio che, appunto, scriveva: “Sogniamo tutti giardini incantati al di là dell’orizzonte, invece di goderci la vista delle aiuole in fiore sotto le nostre finestre”.