PALERMO – La morte di Aldo Naro matura in una notte di caos e irregolarità. Così sostengono i carabinieri. Gli stessi che puntano il dito contro le reticenze “dolose” di chi avrebbe ostacolato le indagini. L’informativa sull’assassino del giovane neolaureato in Medicina offre diversi spunti di valutazione ai pubblici ministeri. Saranno loro a stabilire chi e se meriti di finire nel registro degli indagati.
Quando i carabinieri intervennero nella discoteca dello Zen, il titolare del Goa, Massimo Barbaro, si era allontanato. Vi fece ritorno allertato da un suo collaboratore. E dichiarò ai militari di avere visto, mentre aiutava la guardarobiera a restituire i capi di abbigliamento ai clienti, la lite in corso nel privè. Fu così che intervenne per soccorrere Aldo privo di sensi. Cercò invano di individuare l’aggressore. Gli investigatori sostengono che le sue prime indicazioni “erano in realtà mirate dolosamente a sminuire la gravità dell’accaduto e a favorire l’autore del reato, persona a lui nota perché impiegato sia come addetto alla vigilanza del perimetro della discoteca sia come buttafuori”. Ed ancora: la sua “volontà di eludere le investigazioni ha permesso all’autore del calcio di non essere individuato per più giorni”.
Durante la festa di carnevale al Goa lavoravano nove addetti “ufficiali” alla sicurezza. Quattro assoldati dalla società che gestiva la discoteca – nel frattempo ai titolari è stata revocata la licenza – e cinque da un’agenzia di sicurezza privata. Assieme a loro, però, c’erano cinque buttafuori abusivi, fra cui il minorenne che avrebbe sferrato il calcio mortale ad Aldo. Sono tutti ragazzi dello Zen e c’è pure Giuseppe Militano, figlio di Carmelo e fratello di Francesco, considerati legati al clan mafioso del rione periferico della città. A Militano sarebbe spettato, quella sera come altre, di assoldare i picciotti dello Zen ed evitare rogne nel locale. A cominciare dai tentativi di chi voleva entrare in discoteca, senza pagare e scavalcando.
Per giorni sulla vicenda ha regnato l’omertà. Poi, quando il minorenne reo confesso si è consegnato al carcere Malaspina, in tanti hanno iniziato a parlare. Omertà dettata, innanzitutto, dalla volontà di coprire la faccenda degli abusivi. Eppure, nonostante i titolari abbiano sostenuto di non esserne a conoscenza, alcuni particolari smentirebbero questa tesi. Due “irregolari” intercettati parlavano dell’arrivo in discoteca di Giuseppe Militano e dei buttafuori da lui reclutati per poche decine di euro: “… quando sono arrivato loro già erano tutti i ragazzi che hanno lavorato quella sera li hanno visti… lui lo sapeva… perché lui è stato a cambiarli di posto… sia Massimo che Marcello… li hanno coordinati dove erano messi… dove piazzarli”.
Massimo Barbaro, dal canto suo, ha sempre negato la circostanza. Sentito dai carabinieri ha detto di essere venuto a conoscenza degli abusivi solo ”quando sono stato convocato presso i vostri uffici, ritengo che queste persone siano state impiegate all’oscuro della mia persona”. E ha pure indicato l’uomo che per conto della società privata avrebbe potuto chiarire la questione. La persona di cui ha fatto il nome, però, ha riferito che i ragazzi “erano stati chiamati su espressa richiesta” dei titolari”.
Altro elemento che emergerebbe dalle indagini è la serrata subito dopo la morte di Naro. Dal buttafuori più anziano, così raccontano alcuni testimoni, sarebbe partito il diktat: “Non si deve sapere che l’aggressore era con noi”. Gli investigatoti ipotizzano infine che gli addetti alla sicurezza non avrebbero gestito al meglio la rissa scoppiata dove tre gruppi di ragazzi avevano riservato dei tavoli. Accanto a Naro e ai suoi amici trovarono posto una quarantina di clienti, molti dei quali con diversi precedenti penali per stupefacenti e furto. Due di loro avrebbero attaccato briga con due amici di Aldo portandogli via i cappelli da cowboy. La situazione degenerò anche perché gli stessi buttafuori, quasi tutti senza l’obbligatorio cartellino di riconoscimento, sarebbero stati scambiati per partecipanti alla rissa anche per via dei colpi sferrati. Il caos fu inevitabile.
Sulla figura di Marcello Barbaro c’è un episodio significativo riscontrato dai carabinieri: il 17 febbraio Marcello Barbaro si presentò allo Zen 2. Esponendo un cartello con la scritta “Io sono Aldo Naro” e utilizzando un megafono avrebbe invitato l’autore dell’omicidio a consegnarsi. A quel punto fu avvicinato da un uomo dello Zen. L’invito fu esplicito: “Ma che ti vuoi fare ammazzare?”.