Alla scuola media 'Pertini' | "Qui lo Stato non si è mai visto" - Live Sicilia

Alla scuola media ‘Pertini’ | “Qui lo Stato non si è mai visto”

I professori hanno chiesto trasferimento
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Alla scuola media “Pertini”, tra Brancaccio e Settecannoli, tutti i professori hanno chiesto trasferimento. Se gli chiedi perché, rispondono: “Qui lo Stato non c’è”. Cuore di tenebra di Palermo. Droga, spaccio, prostituzione. Nel mezzo, la scuola tagliuzzata, assediata. Invitano me e la giornalista Alessandra Turrisi per parlare di un libro sulle stragi del ’92, curato a quattro mani (“Era d’estate”, Vittorietti). L’impatto visivo è agghiacciante. Cassonetti anneriti contro il cancello dell’istituto. Erbacce e munnizza a costeggiare i confini della cittadella dell’istruzione. Dentro: porte dei bagni sconciati, altre divelte. I raid, come capita allo Zen, sono frequenti. Una prof racconta: “Qualche giorno fa hanno devastato il laboratorio di Scienze. Hanno perfino pestato i vetrini, per il gusto semplice della distruzione”. Qualche adulto non perbene della zona ha messo gli occhi sui locali della “Pertini”. Di pomeriggio, quando non c’è nessuno, è il posto ideale per organizzare smercio di droga e traffici di donne. E’ il sussurro che si coglie nelle aule.
Lo Stato non c’è. Le forze dell’ordine hanno uomini volenterosi. Sono pochi e impotenti per opporsi a uno dei tanti regni del malaffare. I ragazzini vengono presto avviati a promettenti carriere di pusher, mentre la scuola lancia l’eco disperato della speranza. Un sos nella nebbia, col mare in tempesta. Le classi offrono realtà frammentarie. Ci sono alunni attenti e altri che incendiano il banco. Poi – se li becchi e li rimproveri – spalancano occhi ancora innocenti e domandano: “Picchì, chi fici?”. Il preside è un leone, ma è anche preside di un altro istituto e il ministero non gli ha mai insegnato il segreto dell’ubiquità. I professori hanno l’eroismo di Sisifo. Conducono il masso della legalità sulla montagna, solo per vederlo rotolare giù.

Io e Alessandra abbiamo il compito di chiacchierare con i ragazzi su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una selezione di classi recita una poesia molto bella, scritta da una professoressa. Tocca a noi. Come fai a spiegargli di Giovanni e Paolo, fuori dai soliti cliché? Ormai, i due magistrati sono duri come statue nella memoria della gente ricca, sensibile e borghese, figuriamoci a Brancaccio. E le statue – si sa – non hanno né occhi, né cuore. La prendiamo alla lontana. Raccontiamo di Paolo Borsellino e della sua ultima sigaretta, prima del boato di via D’Amelio. Diciamo che era un padre sorridente e buono e che smise di accarezzare i suoi figli, affinché si abituassero a vivere senza di lui. Raccontiamo dello spirito lieto di Giovanni Falcone, del gateau di riso che avrebbe mangiato la sera della strage, se non l’avessero assassinato. Le statue tornano all’umana consistenza della carne. I ragazzi si interessano, partecipano, vogliono sapere. Sono piccoli uomini intelligenti. Molti di loro avranno una vita orribile, soltanto perché sono nati nel cuore marcio di Palermo, oltre un confine invisibile che li segnerà per sempre.
Pensieri tristi accompagnano la nostra uscita dalla “Pertini”. Fuori ci sono munnizza e schifezze. Eppure, in mezzo a tanto squallore, tra i cassonetti, su un muro, splende una speranza bianca. Una siepe di gelsomino.


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