ROMA – La nomina di Nicola Mancino a ministro degli interni, nel giugno del 1992, non rappresentò discontinuità rispetto al precedente governo nella lotta alla criminalità organizzata e in particolare a Cosa Nostra. E’ quanto in sintesi affermato oggi dall’ex presidente del consiglio, Giuliano Amato, sentito dalla Corte d’assise di Palermo in trasferta a Roma nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Nel corso della sua testimonianza Amato è tornato al giugno del 1992 quando il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, gli affidò il compito di formare un nuovo governo dopo il governo Andreotti che aveva avuto Claudio Martelli ministero della giustizia e Enzo Scotti agli Interni. “Fui convocato al Quirinale il 28 giugno – ha risposto Amato al pm Nino Di Matteo – con una lista ben precisa di chi avrebbe dovuto fare il ministro. Durante le consultazioni, mi confrontai con l’allora segretario Dc Forlani, al quale feci presente l’opportunità di non scegliere nomi di soggetti colpiti da provvedimenti giudiziari legati a Mani Pulite o potenzialmente colpibili”.
L’attuale giudice della Consulta ha proseguito affermando che Scalfaro “condivise le mie scelte” e a “ccccccc Martelli rimase alla Giustizia mentre Scotti, con il quale avevo un rapporto di amicizia tale che se avesse dubbi personali sul fatto che non era più agli Interni me li avrebbe comunicati, andò agli Esteri”. Amato, in relazione al rapporto con Scotti, ha affermato inoltre di non avere “mai saputo di una sua intenzione di dimettersi subito dal nuovo incarico. Ci mettemmo al lavoro perché due giorni dopo dovevano andare a Monaco per il G7. In verità Scotti doveva risolvere un problema di incompatibilità, sollevata dalla Direzione della Dc, tra il mantenimento della carica di parlamentare e la funzione di ministro”.
Parlando ancora di Scotti, l’ex premier ha detto di essere “rimasto preso alla sprovvista quando alla fine di luglio di quell’anno decise di dimettersi da ministro”. L’ex premier, in tema di lotta alla mafia e soprattutto in un periodo drammatico dopo la strage di Capaci, ha affermato che “nell’esecutivo c’era la consapevolezza della strategia stragista di ‘Cosa nostra’, per cui oltre alla battaglia per la conversione in legge del decreto che introduceva il 41 bis fu avviata anche l’operazione ‘Vespri siciliani” che rafforzava il controllo del territorio con l’utilizzo dell’esercito. E infatti quella campagna mafiosa non fu portata avanti”. In tema di carcere duro per i boss, Amato ha detto di “non ricordare di preciso il dibattito politico ma percepii che sulla conversione del dl sul 41 bis c’erano degli ostacoli tanto che ne seguii personalmente il percorso e andai a parlare con i presidenti di Camera e Senato. E’ corretto dire che la strage di via D’Amelio e l’aver posto la fiducia sul 41 bis abbiano determinato la conversione”.
Quanto alle dimissioni da Guardasigilli di Martelli, Amato ha ricordato che il gesto fu legato al preannuncio di avviso di garanzia per l’inchiesta sul Conto Protezione: “Io, mio malgrado, accettai le sue dimissioni e pensai a nominare Conso con il quale avevo avviato un lavoro per trovare una soluzione politico-legislativo a Tangentopoli. Anche sul nome di Conso Scalfaro non fece alcuna opposizione”.
Ascoltato anche Martelli: “Non mi risultano che ci siano stati provvedimenti di ammorbidimento nei confronti della mafia con il ministro Mancino”, ha detto. Nel corso del controesame l’ex esponente del Psi ha aggiunto, ricordando le vicende del giugno 1992, di sapere che “Mancino intervenne alla Camera il 4 agosto del ’92 giorno della conversione del dl sul 41 bis. Confermo che mi sono lamentato con lui dell’iniziativa del capitano del Ros Giuseppe De Donno, seguite alla strage di Capaci, riferendomi ad attivita’ non ortodosse e non autorizzate”. Martelli si è detto “certo che Scalfaro voleva togliere Scotti dall’Interno e che Mancino lo aveva scelto lo stesso Scalfaro. Quando dissi che c’erano due ufficiali del Ros che non si arrendono mi riferivo al fatto che non accettavano l’idea che c’era una legge dello Stato che, istituendo la Dia, aveva imposto il coordinamento delle indagini delle tre forze di polizia”.