PALERMO – La vicenda giudiziaria che ha portato all’arresto Peppe Arnone suggerisce, come dovrebbero suggerire tutte le vicende giudiziarie, una certa prudenza. Ma, nell’attesa che su questa storia di presunte estorsioni pagate con assegni si faccia chiarezza, il trauma per il già provato mondo dell’antimafia e per la galassia dell’ambientalismo c’è tutto. E non è il primo nell’affollato pantheon dei fenomeni mediatici della retorica legalitaria.
Il quadro ipotizzato dai pm agrigentini parla di ricatti per evitare rappresaglie mediatiche. Accuse che la difesa di Arnone respinge e che arrivano dopo una contrapposizione aspra e prolungata tra gli ambienti giudiziari agrigentini e l’estroso avvocato ambientalista. Un contesto quindi assai delicato, tanto delicato da spingere la procura a diramare un irrituale comunicato che difende le ragioni dell’arresto, messe in dubbio dal tam tam dei social network, dove tante perplessità sull’arresto sono state condivise.
Aspettando con tutta la prudenza del caso gli sviluppi della vicenda, non sfugge però che il quadro ipotizzato dagli inquirenti se fosse rispondente a verità si inquadrerebbe in uno schema purtroppo non nuovo. Quello delle icone legalitarie che sull’onda mediatica delle proprie campagne acquistano un potere non indifferente. E stavolta l’ombra aleggia su un esponente di punta dell’ambientalismo, movimento variegato, per il quale le notizie di Agrigento sono state probabilmente traumatiche.
La propaganda ambientalista ha avuto in Arnone una sorta di avamposto mediatico in questi anni. Il tutto secondo un collaudato schema, non troppo dissimile a quello dell’antimafia organizzata, ossia quello dell’autocertificazione del bene e dell’appropriarsi di valori tendenzialmente universali – e per certi versi sacrosanti, tanto più in un territorio devastato come quello siciliano – che diventano patrimonio di una parrocchia infervorata. Assicurando un potere di veto che col tempo in Sicilia come altrove si è irrobustito. Fino a diventare in alcuni casi, un ulteriore elemento di stallo nella già deprimente paralisi isolana.
Il copione è sempre il solito. Passa dalla personalizzazione a vantaggio di pochi eltti. E porta alla insidiosa processione dei simboli e delle icone, passibili di cadute rovinose che travolgono e feriscono anche i tanti incolpevoli che quei santini seguono con fervore e buona fede. L’idealismo e il sacro furore della buona battaglia a volte si trasformano progressivamente in filoni utili per lanciare e cementare carriere, con piccole e grandi galassie strutturate che si interfacciano col Palazzo ottenendo piccoli o grandi spazi di gestione di cosa pubblica, sia essa una convenzione o l’assegnazione di un bene confiscato che non si rifiuta a nessuno. E guai a mettersi contro il bene autoproclamato: il rischio di finire mediaticamente marchiati dall’anatema dei puri è sempre alto. E su questo il potere del paladino anti-qualcosa, che si tratti di ruspe o mafia, s’irrobustisce e si mantiene vivo.
È questa la storia di Peppe Arnone? È certo troppo presto per poterlo dire. E l’avvocato agrigentino, che in questi anni ha attaccato la procura agrigentina a più riprese e su molte vicende, avrà l’occasione per difendersi dalle accuse, magari come accaduto in passato quando le accuse dei magistrati nei suoi confronti non hanno retto in giudizio. Così come ambientalismo, antimafia e altri paladini muniti di autocertificazione del Bene, a loro volta, avranno un’altra occasione, forse, per guardarsi allo specchio criticamente, a prescindere dalle sorti del paladino di turno.