Amministrazione sì’, amministrazione no. Il destino di Castrofilippo – duemila anime o poco più – è legato alle decisioni della commissione prefittizia, guidata da Nicolò Diomede – vice prefetto vicario ad Agrigento – che si è insediata nel tardo pomeriggio di ieri. Una bomba a orologeria, il cui scoppio si aspettava da tempo, è quella piombata sul piccolo comune agrigentino. L’accusa di associazione mafiosa del primo cittadino, Salvatore Ippolito (nella foto), potrebbe portare allo scioglimento totale della compagine amministrativa, giunta e consiglio comunale e dirottare il comune verso un commissariamento. Non sarebbe il primo nella storia agrigentina.Intanto Domenico Sferrazza, assessore alla Cultura e al Bilancio a Castrofilippo, lascia la sua poltrona e spiega il perchè in poche righe: “Sono molto dispiaciuto per le vicende giudiziarie che hanno travolto il nostro palazzo di città. Lascio la vita amministrativa per tornare ad essere un cittadino attivo, distaccato ma presente”.
Nel giro di un paio d’anni sono stati commissariati – per via di vicende mafiose – anche Canicattì, dopo l’arresto del primo cittadino Antonio Scrimali, e Siculiana, in seguito alla custodia cautelare del sindaco Giuseppe Sinaguglia. La commissione, che sarà affiancata da un apparato di intelligence, costuito da forze dell’ordine, di lavoro ne avrà parecchio. Salvatore Ippolito, infatti, ha ricoperto la carica di primo cittadino per dieci anni di seguito, coadiuvato da turn over di politici locali, ma anche di altri consulenti. Una roccaforte apparentemente inespugnabile, con un sindaco che, secondo gli inquirenti, avrebbe fatto da asso pigliatutto, non muovendo passo prima di avere consultato Antonino Bartolotta, l’ottantacinquenne accusato di essere il capo della famiglia mafiosa locale.
Spetterà al team prefittizio il compito di vagliare la legittimità dell’operato degli altri amministratori, vicini a Ippolito e di valutare se l’assise cittadina e gli assessori siano o meno nelle condizione di amministrare, garantendo trasparenza e legalità ai cittadini. Il lavoro sarà meticoloso, considerato che la squadra mobile della questura di Agrigento, durante le perquisizioni, ha trovato, centinaia e centinaia di documenti, disseminati tanto nella stanza istituzionale del primo cittadino, quanto nella sorta di ufficio privato che Ippolito aveva creato nella sua abitazione. Elementi, questi, che passeranno e ripasseranno ai raggi X di chi indaga, perché potrebbero allargare ulteriomente la trama degli intrighi.
Gli inquirenti sembrano non avere dubbi: Ippolito non sarebbe finito in mezzo per sbaglio, non sarebbe neppure stato un fiancheggiatore dell’ultimora. Salvatore Ippolito sarebbe colluso a pieno con la mafia. Lo sarebbe al punto da avere incontrato Giuseppe Falsone nel corso della latitanza. Lo stesso procuratore aggiunto alla DDA di Palermo, Vittorio Teresi tuona: “Ippolito è un sindaco mafioso, eletto con la consapevolezze che si stava eleggendo un mafioso”. Il riferimento è alle frequentazioni del primo cittadino di Castrofilippo che, secondo gli inquirenti, da sempre sarebbe stato vicino alla consorteria filippese.Per gli inquirenti Salvatore Ippolito avrebbe quasi istituzionalizzato la mafia all’interno della gestione della pubblica amministrazione. Ippolito avrebbe spartito la torta tra i mafiosi del posto, facendo attenzione a non lasciare nessuno scontento. Prima Maurizio Di Gati – ai tempi della sua reggenza ad Agrigento – e poi l’ex primula rossa di Campobello di Licata. Proprio Di Gati, con le sue dichiarazioni, avrebbe incastrato Ippolito e gli altri.
“Quando ho iniziato la latitanza a Castrofilippo – rivela Di Gati – Ippolito era già sindaco e Alaimo Angelo, sottocapo di Castrofilippo (arrestato anch’egli nel blitz Family, n.d.r.), mi disse che grazie ai loro voti avevano portato come sindaco Ippolito perchè era una persona vicina a loro e gli si poteva chiedere qualsiasi favore”.
L’indagine continua, ed è volta a verificare eventuali e ulteriori collusioni tra mafia e politica. Castrofilippo, infatti, seppure minuscolo per dimensioni e densità demografica, si trova in un territorio caldissimo – vicino a Canicattì, storica roccaforte della mafia agrigentina, ma anche a Campobello, patria di Falsone. Da sempre, la cittadina, è stata un riferimento per i giri di Cosa nostra, una sorta di trait d’union, fatta di uomini su cui la mafia avrebbe sempre potuto fare affidamento. Qualcuno oggi sussurra appena: ” si sapeva che andava a finire così, che prima o poi lo arrestavano il sindaco”. Le dichiarazioni però si spengono subito, come se non fossero mai state pronunciate. Forse perchè, chi parla ha ben chiaro che la mafia non lascia vuoti, soprattutto dove con prepotenza si è presentata.