In aula al processo sulla ‘Mafia dei Nebrodi’, sfociato in sei secoli di condanne, c’era anche Giuseppe Antoci presidente della Fondazione Caponnetto ed ex presidente del Parco dei Nebrodi che ha denunciato il rischio che le mani dei clan arrivassero ai fondi europei.
“E’ un momento importante – ha detto Antoci -perché questo Paese ha bisogno di risposte, da questa esperienza esce la risposta di un territorio che ha fatto il suo dovere. Abbiamo fatto quello che andava fatto, abbiamo superato il silenzio e abbiamo fatto capire che i fondi europei dovevano andare solo alle persone per bene e non ai capimafia. Quest’aula stasera ha dato un segno di libertà – dice – ma anche di dignità. Queste condanne che mi addolorano, perché in fondo non è proprio una vittoria quando le persone vanno in carcere. La lotta alla mafia non si può fare solo con la repressione ma va fatta ogni giorno. Questa esperienza dimostra che da un piccolo territorio nasce un protocollo di legalità che la Commissione europea considera tra i più importanti. Rompiamo questo muro di silenzio,così avremo sempre meno gente in tribunale, meno processi e meno forze dell’ordine che si devono occupare di queste cose. In fondo quando si leggono queste sentenze ci si rende conto che sono di dolore”.
“Lo stesso dolore – ecco la conclusione – che ho provato io in questi anni con quella perdita di libertà che ho dovuto imporre alla mia famiglia con la quale abbiamo voluto comunque andare avanti. La mia famiglia mi ha detto noi ci siamo non ti fermare. È una frase che racconto a tutti i ragazzi che mi ascoltano nelle scuole. Quel noi non è solo della mia famiglia è un noi di un paese che vuole fare il proprio dovere. Questo paese tuttavia di simboli ed eroi ne ha già abbastanza. Se la gente denuncia avremo meno sentenze. Forse è solo un utopia ma non bisogna mai rinunciare ai sogni . Questa sera parte di questo sogno è diventato realtà”.