Una mattina Tuccio D’Urso, allora dirigente regionale del Dipartimento energia, vide spuntare nella sua stanza il funzionario Giacomo Causarano che “se andava in giro con Paolo Arata in assessorato”.
D’Urso, oggi in pensione, ha testimoniato al processo che vede imputati di corruzione e intestazione fittizia di beni tra gli altri lo stesso Arata, il figlio Francesco Paolo, il dirigente regionale Alberto Tinnirello e l’imprenditore milanese Antonello Barbieri.
Il processo è quello che riguarda le mazzette che sarebbero state pagate ai funzionari e ai dirigenti regionali per avere il via libera agli impianti per lo sfruttamento delle biomasse che la Solgesta, società riconducibile ad Arata e a Vito Nicastri, voleva realizzare a Calatafimi e a Francofonte. L’obiettivo era ottenere le concessioni per rivenderle ad altre società ricavando milioni di euro. Tanti soldi che avrebbero giustificato il pagamento o la promessa di tangenti per 500 mila euro.
Nicastri, il re del vento che ha fatto soldi a palate grazie alla presenza ingombrante degli uomini di Matteo Messina Denaro, e il figlio Manlio sono usciti dal processo dopo avere patteggiato.
Alla fine, dopo le perquisizioni e gli arresti, la Solgesta non ottenne le autorizzazioni. Secondo l’accusa, Arata cercò di fare valere il suo peso negli uffici regionale di ex politico (è stato parlamentare di Forza Italia negli anni ’90) e di consulente della Lega sui temi energetici.
Quella mattina “entrò nel mio ufficio – racconta D’Urso – con il figlio Francesco e Causarano. Fu una chiacchierata amabile. Causarano mi disse che Arata era un politico di centrodestra referente per le energie alternative e lo stesso Arata mi disse che dopo pochi giorni avrebbe avuto a cena a casa sua l’onorevole Armando Siri (D’Urso non ricorda subito il suo nome) e il sottosegretario Giorgetti. Non mi fecero pressioni però, anche perché non ero io ad occuparmi dei progetti di Solgesta”.
“A che titolo allora Arata venne nel suo ufficio?”, chiede il pubblico ministero Gianluca De Leo. Risposta: “Pubbliche relazioni, non mi chiese nulla”. Il pm sollecita la memoria di D’Urso, il quale conferma che Arata si prese il suo biglietto da visita per parlare della figura professionale del dirigente a Siri e Giorgetti.
Il racconto di D’Urso conferma i rapporti fra Arata e Causarano (già condannato), intermediario quest’ultimo per conto del dirigente regionale Alberto Tinnirello con cui si sarebbe spartito le tangenti (leggi: “Nicastri fa nomi e cognomi”) Ed è sulla liceità o meno dei rapporti che si fonda il processo. Di una cosa D’Urso è sicuro: Causarano continuava ad occuparsi delle pratiche della Solgesta nonostante fosse destinato ad altro incarico.
Ed è a Tinnirello che D’Urso indirizzò una nota con l’invito a “Conferire con urgenza”. Il dirigente generale si era opposto a una richiesta di “accesso agli atti” avanzata proprio dalla società dell’imprenditore considerato vicino a Matteo Messina Denaro. Un “no” che infastidì Tinnirello e Causarano. Così dirà Causarano: “D’Urso chiede… un incontro urgente con noi. Perché dice voi sapete chi è questo”.
D’Urso conferma l’episodio. Conosceva per averle letta sui giornali la storia giudiziaria di Nicastri e volle vederci chiaro. Anche perché, così racconta, non era la prima volta che notava circostanze anomale. A cominciare dalle operazioni che hanno reso ricco Nicastri che otteneva le autorizzazioni a realizzare impianti di energie alternative e poi le rivendeva a peso d’oro ad altre società: “Era vietato sulla base di un’apposita norma contro i cosiddetti sviluppatori. Dopo la vendita e la percezione di illecite rendite sulle concessioni ho notato anche una sub attività. Spuntavano dei debiti della società vendita che dovevano essere onorate dall’acquirente”. D’Urso si dice certo del suo ricordo, anche se avrebbe bisogno di consultare gli atti nel suo ex ufficio per essere più preciso.