Ast, politica e potere: il rischio di un favore ai privati - Live Sicilia

Ast, politica e potere: il rischio di un favore ai privati

Chi dovrebbe gestire le tratte sociali meno appetibili?

PALERMO – Volano i corvi sul corpo dell’Ast, appesantita da un debito monstre che segnò già il suo esordio, fiaccata da un organico che pure alleggerito dal turn over è ancora una delle voci più ingenti di questa società pubblica che il governo vuole ora privatizzare. A sostenere la necessità di abbandonare la S.P.A. al proprio destino, sull’orlo del default, si fanno avanti gli stessi che in passato imposero l’alt alla vendita. Dalle stanze di Palazzo d’Orleans, però tira aria nuova per l’Azienda Siciliana Trasporti e il presidente Renato Schifani, con l’assessore Marco Falcone, lasciano chiaramente intendere che si va verso la cessione di quote che prelude a un’uscita di scena della Regione. Ipotesi temuta dai sindacati che hanno chiesto e ottenuto per questo un tavolo tecnico. Nell’ipotesi di cessione, i 574 lavoratori effettivi sarebbero garantiti ma resta il nodo dei circa 200 interinali, il cui apporto è necessario e che in passato, in un’ottica di risparmio, si immaginava di assorbire.

Ritoccato al ribasso, con un contenimento del 12 per cento negli ultimi anni e riallineato a quello del 2009, il debito viaggia comunque intorno ai 75 milioni, anche se un bilancio non è stato approvato e all’orizzonte ci sono due incognite: la gara europea per il servizio, nel 2024, e il rinnovo del parco mezzi per il quale occorre liquidità. Con la Regione che centellina i trasferimenti di risorse. In mezzo inevitabili interessi intorno a un servizio essenziale per la sopravvivenza di molto comuni siciliani.

Gaetano Tafuri che di Ast è stato presidente, suo l’ultimo bilancio approvato nel 2020, rivendica proprio la riduzione del debito e dice chiaramente che “parlare di crisi è funzionale al progetto di liquidare l’azienda”. Uno spauracchio strumentale insomma per una società che su 138 tratte copre con i suoi circa 540 mezzi, 18 milioni di chilometri l’anno e sconta l’onda lunga del Covid che ha ridotto il traffico al 30 per cento. Di privatizzarla non se ne parlò, del resto, neppure quando nel 2012 il debito sfondò il tetto dei 114 milioni. “Perché farlo adesso?”, si chiede Tafuri. Allora fu proprio Marco Falcone a far sentire la sua voce per scongiurare la vendita.

Pesa nella situazione finanziaria il contenzioso con la Regione che non riconosce i propri debiti e che nella finanziaria ha solo confermato il contributo di ricapitalizzazione di circa 21milioni di euro. “La finanziaria – dice Tafuri – avrebbe dovuto contenere somme aggiuntive che non sono state previste”.

Lasciare Ast esposta alla montagna dei debiti significa consegnarla al mercato o al fallimento. Di sicuro con una situazione fuori controllo non restano molte strade. E la volontà politica appare ormai delineata. Alla privatizzazione, ovvero alla temuta dismissione lavora già un consulente della Presidenza, il docente Michele Perrino, professore di Diritto commerciale all’Università di Palermo, al quale Schifani ha chiesto un dossier.

Del resto per la natura del servizio aspettarsi utili da Ast è un miraggio a meno di stravolgerne lo spirito di azienda di trasporto pubblico. La gestione delle tratte ha per questo necessità della mano pubblica che però, spesso complice il management succedutosi con l’avvicendarsi dei governi, ha lasciato l’azienda al proprio destino, mentre il debito si accumulava. E un vero piano di risanamento non è mai stato messo in cantiere.

Ricorda Tafuri: “Le tratte sono quasi tutte in perdita, solo circa il 2% sono in attivo”. E sono intatti i nodi strutturali: consumi, tempi di percorrenza, appetibilità del servizio. Resta però lo scopo fondamentale: far uscire dall’isolamento centinaia di piccoli comuni, altrimenti consegnati all’abbandono. In che modo i privati garantirebbero la copertura delle tratte meno remunerative? Tanto più che proprio quelle più gettonate, Palermo-Catania e Catania-Messina, sono già privatizzate. “E queste sono scelte regionali”, sottolinea Tafuri.

Per uscire dall’impasse, Tafuri lancia l’idea di consorzi con i privati. “Per la verità era l’ipotesi in campo fino al 2021”, chiarisce. Poi improvvisamente tutto sembra cambiare e la dismissione sembra l’unica strada. Come se il rischio fallimento si fosse concretizzato soltanto adesso.

Di sicuro di fronte alla privatizzazione si staglia solo un’alternativa: la ricapitalizzazione che tocca alla Regione che da questo orecchio non vuole proprio sentire. E poi c’è la gestione del personale, un management da rinforzare e una gestione che coniughi conti e servizio. Pubblico.


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