Individuare ben 7 profili di incostituzionalità e interpretarne altri 5 in modo ‘costituzionalmente orientato’ in un testo normativo di appena 11 articoli, sebbene declinati in numerosi commi, non è roba di poco conto.
A cosa mi riferisco? Alla legge 26/6/2024, n. 86 (Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione).
Non faremo ora l’elencazione delle contestazioni e degli orientamenti interpretativi ormai ampiamente diffusi, quanto piuttosto una riflessione generale sulla questione.
Ne avevamo scritto su Livesicilia lo scorso 1 settembre (“Autonomia differenziata, tutto quello che non funziona nella riforma”) avanzando già allora seri dubbi su molti aspetti di questa ‘rivoluzione’ voluta fortemente dalla Lega e, ora, sostanzialmente azzoppata dall’intervento della Consulta a seguito del ricorso promosso da 3 regioni a statuto ordinario e da 1 a statuto speciale (Puglia, Campania, Toscana e Sardegna).
Sì, perché la citata legge 86/2024 si applica, meglio, si applicava anche alle regioni a statuto speciale, una delle previsioni bocciate dal Giudice delle Leggi perché le regioni a statuto speciale, vedi la Sicilia, possono chiedere maggiore autonomia seguendo le procedure previste dai propri statuti.
Sostanzialmente, citiamo fedelmente la comunicazione della Corte in attesa del deposito delle motivazioni, l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia – deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio.
Ecco il punto, anzi, i punti essenziali su cui si è soffermata l’attenzione della Consulta. Noi possiamo immaginare ulteriori forme di autonomia a beneficio delle regioni, ordinarie e speciali, magari esagerate, ma mai l’allargamento delle competenze può minare i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini e dell’equilibrio di bilancio.
Tutti pilastri irrinunciabili di una democrazia e di una nazione messi a dura prova dall’attuazione integrale dell’Autonomia differenziata così come era stata concepita e approvata dalle Camere.
Il rischio di aumentare differenze e diseguaglianze tra Nord e Sud, tra chi sta meglio e chi sta peggio era assolutamente realistico, alla stessa maniera era assolutamente realistico il ridimensionamento del Parlamento a favore di un inaccettabile strapotere dell’Esecutivo in materia di fissazione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni), di quantificazione delle aliquote di compartecipazione al gettito fiscale per finanziare le funzioni trasferite e di approvazione delle intese tra governo centrale e regioni.
Parti del procedimento di differenziazione in cui il Parlamento appariva un semplice notaio, quindi privato del suo ruolo sovrano.
Non solo, la Corte Costituzionale ha chiarito che le materie trasferibili alla competenza regionale non possono essere prese nella loro globalità (con la prospettiva di creare piccoli Stati in competizione in uno Stato sempre più irrilevante), occorre al contrario considerare singole funzioni e motivare il passaggio.
Ciò alla luce del cosiddetto “principio di sussidiarietà”, un concetto abbastanza ricorrente nelle sentenze della Corte Costituzionale e che merita un attimo di attenzione.
In estrema sintesi possiamo affermare l’esistenza, nel nostro ordinamento giuridico, di una sussidiarietà verticale, secondo la quale si parte dal basso, dalle istituzioni più vicine al cittadino, permettendo lo svolgimento di funzioni e compiti amministrativi all’ente di livello superiore soltanto quando necessario e di una sussidiarietà orizzontale attraverso cui pubblica amministrazione e soggetti privati nell’ambito delle dinamiche virtuose tra interessi legittimi collaborano nel perseguimento del superiore interesse pubblico.
Bene, il principio di sussidiarietà per rimanere intatto nella sua essenza deve valere guardando il Paese nel suo complesso e non regione per regione se non vogliamo che, alla fine, si svilisca nel suo più profondo significato in termini di efficienza e unitarietà dello Stato e di diritti individuali e sociali (i Lep, che devono garantire l’uguaglianza sostanziale dei cittadini a prescindere dalla residenza).
Il Parlamento dovrà colmare i vuoti provocati dalle censure di incostituzionalità della legge sull’Autonomia differenziata uniformandosi al contenuto dei rilievi e degli orientamenti interpretativi.
Nutro serie perplessità adesso sulla celebrazione del referendum abrogativo per il quale sono state ampiamente raccolte le firme necessarie visto che la Corte Costituzionale non ha ritenuto fondata la questione di costituzionalità della legge tout court e viste, al contempo, le profonde declaratorie di incostituzionalità di sue parti essenziali. Vedremo come si determinerà la Corte Suprema di Cassazione cui spetta in proposito l’ultima parola.