PALERMO – Ogni anno, il 14 e il 15 luglio, Palermo si veste a festa per celebrare Santa Rosalia, la “Santuzza” che secondo la tradizione salvò la città dalla peste nel 1624. Ma oltre ai fuochi d’artificio, alla processione barocca e ai carri allegorici, a conquistare palati e cuori sono i babbaluci, piccole lumache bianche condite con aglio e prezzemolo.
L’origine del termine
Il termine dialettale “babbaluci” ha origini antiche e affascinanti. Deriva dal greco “boubalákion”, una parola che indicava sia la lumaca sia il bufalo, probabilmente per via delle corna, elemento comune a entrambi.
Successivamente, il termine ha subito l’influenza della lingua araba, in particolare dalla parola “babbūš”, che si riferisce alle tipiche ciabatte con la punta rivolta all’insù — note ancora oggi come babbucce — la cui forma ricorda quella del guscio delle lumache.
La lumaca che unisce sacro e profano
Nei giorni del Festino di Santa Rosalia, nel cuore del Cassaro, tra bancarelle e canti popolari, si leva l’inconfondibile aroma di questi molluschi: una miscela esplosiva di odori in grado di far battere in ritirata anche il più ardimentoso dei vampiri. Eppure, ogni palermitano doc lo sa: non è Festino senza babbaluci. Secondo la tradizione, mangiarli durante u Fistinu è quasi un atto liturgico.
La devozione per la Santuzza si manifesta con la preghiera e la processione, ma anche con una grande festa collettiva fatta di musica, fuochi d’artificio e soprattutto cibo da strada. In questo contesto, i babbaluci sono diventati un simbolo gastronomico del Festino, quasi quanto la stessa Santa Rosalia lo è per la fede.
Le lumache, con il loro passo lento e costante, sono spesso viste nella cultura popolare come simbolo di resistenza, umiltà e perseveranza. Caratteristiche che ben si sposano con la figura di Santa Rosalia, che visse da eremita sul Monte Pellegrino.

Un piatto umile che non passa mai di moda
I babbaluci rappresentano la cucina povera palermitana, quella che trasforma ciò che si trova nei campi in prelibatezza. C’è chi li prepara in casa dopo averli fatti spurgare per ore e chi invece si affida alle bancarelle disseminate tra Porta Felice e il Foro Italico. Per i turisti è un’esperienza mistica e un po’ estrema, quasi un rito di iniziazione: chi supera la prova dei babbaluci può dirsi adottato dalla città.
Le lumache, simbolo di pazienza e perseveranza, vengono gustate rigorosamente con le mani, succhiando il contenuto cu scrusciu, ovvero rumorosamente, e con la maestria di chi lo fa da una vita. Si può anche usare uno stuzzicadenti per estrarle dal guscio. Vietatissimo usare le posate!
I babbaluci sono più di un piatto: sono un’identità, un sapore collettivo, una memoria gustativa che accompagna ogni palermitano da quando è bambino. Mangiarli durante il Festino è come dire “io c’ero”, anche se poi ti ritrovi con le dita unte e l’alito che farebbe desistere persino un corteggiatore medievale. Alla fine, tra un “Viva Palermo e Santa Rosalia!” e una manciata di babbaluci, resta solo una certezza: l’aglio passa, ma la tradizione resta.
Festino di Santa Rosalia, perché si mangiano i babbaluci
L’usanza dei babbaluci è diventata col tempo un rituale sociale: le famiglie si riuniscono, i venditori ambulanti li preparano in grandi padelle, e chi partecipa al Festino si aspetta di trovarli per strada come parte integrante dell’evento. È un piatto che identifica Palermo e i palermitani e che si tramanda da generazioni.
In sintesi, ecco perchè si mangiano i babbaluci nei giorni in cui a Palermo si celebra Santa Rosalia: sono un piatto della tradizione popolare; richiamano valori simbolici legati alla Santa; fanno parte del folklore del Festino; sono diventati un segno d’identità culturale per la città.
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LA RICETTA DEI BABBALUCI
Ingredienti (per 4 persone):
• 1 kg di babbaluci (lumache di terra fresche)
• 4-5 spicchi d’aglio
• Un mazzetto di prezzemolo fresco
• Sale grosso q.b.
• Olio extravergine d’oliva q.b.
• Pepe nero (facoltativo)
Preparazione
Pulizia e spurgo delle lumache
Le lumache vanno spurgate per eliminare residui e impurità. Metterle in un contenitore capiente con un po’ di farina e sale grosso. Lasciarle a digiuno per 24 ore, coperte con un canovaccio, in un luogo fresco e aerato.
Lavaggio finale
Dopo la spurgatura, sciacquare accuratamente le lumache in acqua fredda, più volte, finché l’acqua non risulta pulita.
Cottura
Mettere le lumache in una pentola capiente e coprirle con acqua fredda non salata. Accendere il fuoco a bassa temperatura per far sì che le lumache escano lentamente dai gusci. Quando l’acqua comincia a bollire, alzare la fiamma, salare e cuocere per circa 25 minuti o fino a quando non saranno cotte.
Scolare le lumache.
Condimento
In una padella capiente, far rosolare l’aglio tritato finemente in abbondante olio extravergine d’oliva. Aggiungere il pepe, le lumache e lasciarle insaporire per 5-10 minuti, mescolando di tanto in tanto. Prima di servire unire il prezzemolo fresco tritato.
Una preparazione ben fatta prevede che, al termine della cottura, le lumache si presentino “chi cuorna nisciuti ri fuora”, letteralmente “con le corna uscite fuori”. Oltre a quella in bianco, esiste un’altra versione dei babbaluci: quella col pomodoro a picchi pacchi, ovvero tagliato a piccoli pezzi.
Consiglio per palermitani doc:
Accompagnare con pane casereccio per fare la “scarpetta” nell’olio all’aglio.

