Beni confiscati alla mafia: sì a scopo di lucro e finalità abitative - Live Sicilia

Beni confiscati alla mafia: sì a scopo di lucro e finalità abitative

La giunta ha approvato ieri mattina una proposta di regolamento per la gestione degli immobili tolti alle mafie. Lo abbiamo analizzato.

CATANIA – Sì alle finalità economiche. E sì all’uso per fronteggiare temporaneamente l’emergenza abitativa. Sono le due novità più rilevanti del nuovo regolamento comunale per l’utilizzo dei beni confiscati alla mafia a Catania. Il documento è stato approvato dalla giunta di Palazzo degli elefanti durante la riunione che si è tenuta ieri mattina, subito prima della riapertura dell’Empire di via Zolfatai. “Una corsa contro il tempo”, l’ha definita l’assessore Michele Cristaldi, titolare della delega agli immobili tolti alla mafia. Adesso che la giunta ha presentato la sua proposta, spetterà al Consiglio comunale valutarle e, eventualmente, modificarla.

Nel frattempo, lo schema del regolamento supera quello approvato nel 2014 dall’allora giunta guidata da Enzo Bianco. Un documento che, ai tempi, non aveva incontrato il favore delle associazioni. E che era stato poco applicato, vista l’assenza – durata anni – di bandi per l’assegnazione dei beni confiscati. Il regolamento votato in giunta ieri conta 30 articoli e le novità più importanti si trovano entrambe all’inizio: la prima è la possibilità di usare i beni confiscati anche per finalità economiche, affidandoli ai privati tramite una procedura a evidenza pubblica. La seconda novità riguarda la possibilità di utilizzo per l’emergenza abitativa, prevista dal nuovo regolamento e quindi attuabile direttamente dal Comune.

Affinché i cittadini possano avere un quadro completo dello stato dei beni confiscati alle mafie a Catania, è prevista l’istituzione di un registro che includa anche “la destinazione d’uso, la possibile utilizzazione, la posizione urbanistica nonché, in caso di avvenuta assegnazione a terzi, i dati identificativi del concessionario, l’oggetto e la durata dell’atto di concessione“. Nel caso di immobile “messo a reddito“, il registro dovrà contenere anche l’importo stabilito per la locazione. A vigilare dovrà essere un osservatorio, composto dalle associazioni e da chi chiederà di farne parte, che avrà il compito di riunirsi ogni sei mesi e “proporre all’amministrazione le priorità di intervento”.

L’amministrazione comunale può decidere di tenere per sé, gestendoli direttamente, alcuni degli immobili: come dovrebbe avvenire nel caso dell’Empire, destinato a diventare una “Casa della musica. Un’altra opzione prevista dal regolamento è l’assegnazione alle società partecipate del Comune, a titolo gratuito, e solo per il perseguimento di finalità istituzionali. In altri termini: uffici, magazzini. Alle partecipate spetteranno però anche gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria.

Tra i possibili concessionari, per un minimo di sei anni e un massimo di dodici, ci sono poi le associazioni e gli enti del terzo settore che operano sul territorio. La manutenzione straordinaria dei beni confiscati era uno dei punti critici del regolamento del 2014 e attualmente in vigore: le opere più consistenti erano affidate al concessionario del bene, cioè all’associazione che aveva fatto domanda per gestirlo. Una richiesta spesso troppo esosa per chi lavora nel sociale. Nel nuovo regolamento su questo aspetto si glissa: non si citano mai le manutenzioni straordinarie, tranne che nel caso delle partecipate e della gestione diretta.

Ciò che si cita, però, è un “fondo speciale destinato al finanziamento di sostenibilità dei beni”, che dovrebbe essere alimentato con gli affitti, a prezzi di mercato, dei beni messi a reddito. Cioè quelli che potranno essere affidato a chi intende svolgerci dentro attività con finalità di lucro. Una parte di questi proventi sarà destinata, si legge nel regolamento, alla “manutenzione dei beni”, mentre il resto potrà essere reimpiegato “per finalità sociali […] attraverso progetti e iniziative di rilevanza locale”. Sulle attività che potranno essere realizzate si dice poco. Tranne che dovranno essere “orientate a una programmazione di crescita economico-sociale del territorio dove sono ubicate”.


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