Beni confiscati, Salvi: |"Legalità è motore di sviluppo" - Live Sicilia

Beni confiscati, Salvi: |”Legalità è motore di sviluppo”

Intervista al Procuratore di Catania sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. Piccoli successi per la magistratura etnea, anche se Salvi non nasconde le grandi difficoltà, nonostante l'impegno, riscontrate soprattutto nell'amministrazione delle imprese. E si parla anche del grande progetto della cittadella della Giustizia. IL VIDEO

 

CATANIA – La lotta alla criminalità organizzata non si ferma agli arresti e ai sequestri. La Mafia va sconfitta anche attraverso un’attenta gestione dei beni che tramite le operazioni e i blitz sono stati sottratti alle mani di Cosa Nostra. Un patrimonio di miliardi di euro che deve essere trasformato in linfa utile anche all’economia. “Dobbiamo rendere evidente che la legalità è il pressuposto anche dello sviluppo”. Queste le parole del Procuratore di Catania Giovanni Salvi a LiveSiciliaCatania parlando dei passi avanti raggiunti nella gestione dei beni confiscati alla Mafia, ma ci sono “ostacoli normativi e burocratici – spiega il magistrato – riguardanti soprattutto l’amministrazione delle aziende. Dobbiamo essere in grado di gestirle in maniera utile, anche per garantire il lavoro ai dipendenti e per non trovarci con un pugno di mosche in mano”.  Salvi, però, puntualizza che l’impegno va indirizzato alle aziende sane e non avvelenate dalla Mafia. “Quelle imprese vanno liquidate e basta” sentenzia il Procuratore. Presto, il Ministro dell’Interno sarà a Catania per parlare di queste tematiche. E intanto Giovanni Salvi rassicura che il progetto di realizzare la Cittadella della Giustizia all’Ascoli Tomaselli non è assolutamente fermo al palo (e c’è spazio anche per il Palazzo delle Poste). “Finalmente Catania avrà una sede giudiziaria – dichiara – degna di questo nome”.

Il Prefetto Caruso ha annunciato che Catania diventerà sede per una filiale dell’Agenzia dei Beni confiscati. E’ il segnale di una svolta?

L’apertura di una sede dell’Agenzia a Catania ci consentirà di avere un rapporto più diretto rispetto al passato. Questa è una novità importante, ma lo è anche l’organizzazione di un prossimo incontro qui a Catania con il Ministro dell’Interno proprio per discutere di queste tematiche. Tutto questo, però, non basta.

Cosa intende?

Noi abbiamo tantissimi beni confiscati o sequestrati che devono essere gestiti con logiche di mantenimento ad alta efficienza. Non possono essere lasciati degradare perché altrimenti noi diamo l’immagine di una legalità come un peso, quando invece non deve essere così.

Quali sono i problemi maggiori riscontrati dall’Agenzia?

L’Agenzia ha grandi difficoltà. E’ sottodimensionata rispetto al carico di lavoro ed è anche gravata dal peso di una normativa non ben tarata sulla necessità di gestione di beni che, complessivamente, valgono miliardi di euro.

C’è una domanda che molti cittadini si pongono:  cosa succede quando un bene (o un’azienda) è stato posto sotto sequestro ma dopo un certo periodo questo torna nuovamente attivo e alcune volte è gestito dalle stesse persone?

Io non credo che ci sia un rischio di questo genere. Quando queste cose si verificano noi siamo in grado di seguire il flusso reale del patrimonio e lo andiamo a sequestrare dove si trova. Il caso del Consorzio Setra mi pare che sia chiaro e molto indicativo. Io credo che il problema non sia quello della nostra capacità come Procura della Repubblica, o come uffici giudiziari in genere, di individuare e sequestrare questi beni. Il problema è che noi dobbiamo essere anche in grado di gestirli in maniera utile.

Cosa ostacola questa capacità di gestione?

Per i beni immobili stiamo facendo un buon lavoro con l’amministrazione comunale, anche per quelli che non c’entrano con i beni sequestrati alla mafia e che sono tanti. Un esempio tra tutti quelli destinati alla demolizione.  Questi beni potrebbero essere anche destinati ai beni sociali, e quindi con il Comune stiamo lavorando per individuare quali questi beni non devono essere demoliti e possono essere destinati ad abitazione, o per sedi cooperative o per ospitare attività socialmente utili. E ripeto con l’amministrazione di Catania, ma anche con altri comuni come Paternò,  stiamo facendo un buon lavoro in questo senso. E’ più difficile il lavoro con le aziende.

Ci spieghi.

L’azienda è un organismo vivo. Non è un immobile, che lo lasci fermo un anno e poi basta una pitturatina agli infissi. L’azienda se la si lascia ferma anche solo 15 giorni comincia a deperire, perde commesse, perde credito, insomma deperisce e muore. E alla fine ci troviamo con un pugno di mosche. La legge prevede che le aziende confiscate siano vendute o date in affitto, ma per realizzare questo obiettivo è necessario che prima siano amministrate bene. Questo è difficile. La sfida che noi abbiamo davanti è questa. E non è facile, ci vuole tanto impegno. Noi come Procura ce lo stiamo mettendo tutta, anche il Tribunale reagisce con lo stesso spirito. Però dobbiamo trovare degli interlocutori che capiscano che è questo lo scoglio. Noi abbiamo ottenuto dei risultati brillantissimi nel contrasto alla criminalità organizzata, ora dobbiamo essere in grado di fare il passo successivo.

E quale è questo passo, Procuratore?

Rendere evidente che la legalità è anche il presupposto dello sviluppo. E lo possiamo fare attraverso una buona gestione dei beni che sequestriamo e poi confischiamo.

Cosa si sente di dire ai lavoratori delle aziende confiscate?

L’impegno della Procura affinché loro possano continuare a lavorare è fortissimo. Su questo fronte abbiamo aperto un dialogo proficuo sia con il Ministro dell’Interno che con il prefetto Caruso, però dobbiamo andare ancora oltre e superare degli ostacoli anche dal punto di vista burocratico e normativo. Non siamo sicuramente fermi. Ci stiamo muovendo lì dove, però, questo lavoro può essere garantito.

Cioè?

Alcune imprese vivevano e campavano solo perché erano imprese mafiose. Fuori da questo circuito non campano più perché non hanno il vantaggio aggiuntivo di operare in un mercato falsato con danni gravissimi per gli altri imprenditori.  E’ chiaro che un imprenditore corretto che paga regolarmente le tasse, che paga i contributi agli operai, che ha le commesse per quello che si merita e si trova svantaggiato a competere con un’impresa che ha le commesse assicurate perché gli derivano dalla violenza o dal patto mafioso, e non pagando tasse e contributi, ha costi molto minori e altera il mercato. Un’impresa di questo genere va immediatamente liquidata e basta. Non c’è altro da fare. Ma molte altre aziende possono vivere, possono sopravvivere e in questo senso va il nostro impregno.

Procuratore, il progetto della Cittadella della Giustizia sta andando avanti?

Si, sta andando avanti. Non sono progetti che si possono realizzare in poche settimane. Questa è una questione che deve deliberare la Commissione Manutenzione del Palazzo di Giustizia composta dai capi degli uffici e dai rappresentanti di altre entità, come l’Ordine degli Avvocati.  E a questo organismo che spettano le decisioni che in via definitiva devono passare dalle scelte del Ministero, del Comune e alla Regione che hanno competenze su diversi aspetti di questo progetto. Però, mi pare che stia andando tutto molto bene. Mi sembra una scelta importante che darà alla cittadinanza finalmente una sede giudiziaria degna di questo nome.

Se Le dico Palazzo delle Poste?

Il Palazzo delle Poste entra in questo progetto, purtroppo è lì abbandonato in questa maniera vergognosa, degradata e degradante per l’immagine della città. L’idea è quella di recuperare gli affitti che adesso sono fortissimi che si pagano ai privati e fare gli investimenti che sono necessari per ripristinare il grosso patrimonio rappresentato proprio da questo palazzo.


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