PALERMO – La procura della Repubblica di Palermo non fa ricorso. Diventa così definitivo il provvedimento della sezione misure di prevenzione che nelle scorse settimane ha dissequestrato la stragrande maggioranza dei beni degli imprenditori Virga di Marineo. Solo una piccola parte è andata in confisca.
Il collegio presieduto da Raffaele Malizia ha restituito i beni a Carmelo, Vincenzo, Anna, Francesco e Rosa Virga e ai loro figli, ad eccezioni di alcuni immobili e alcune partecipazioni societarie di Carmelo Virga che sono andate in confisca.
Tra i beni restituiti ci sono impianti di calcestruzzo, imprese edili, aziende agricole, produzione di gas terapeutici ed industriali, ristorazione, immobili.
Per Carmelo Virga, così come per tutti gli altri proposti, era stata respinta la richiesta della sorveglianza speciale perché non sono stati ritenuti socialmente pericolosi. Fu il solo Carmelo Virga a finire sotto inchiesta per mafia nel 2000, ma la sua posizione venne archiviata: non erano stati acquisiti elementi univoci benché, scrivevano i giudici, “avesse avuto nel corso degli anni diverse frequentazioni con personaggi sicuramente appartenenti al sodalizio mafioso”.
Diversi pentiti, tra cui Nino Giuffrè a Giovanni Brusca, dissero di avere avere saputo da Ciccio Pastoia, boss di Belmonte Mezzagno, e Bernardo Provenzano che i Virga di Marineo avevano goduto dell’appoggio della mafia fino ad inserirsi nel patto del tavolino gestito da Angelo Siino, attraverso cui Cosa Nostra controllava gli appalti pubblici.
Protezione e aiuto in cambio di tangenti. Elementi che non bastarono per un processo penale, ma che rappresentarono l’ossatura delle indagini patrimoniali.
Secondo il Tribunale, le dichiarazioni erano “convergenti in merito all’inserimento delle imprese dei Virga e specificamente la Comes e la Calcestruzzi San Ciro, sin dalla metà degli anni Ottanta del giro illecito di spartizione degli appalti”.
Il solo ad avvantaggiarsene sarebbe stato, però, Carmelo Virga, mentre nulla è emerso per i fratelli Vincenzo, Francesco, Anna e Rosa (erano difesi dagli avvocati Franco Inzerillo, Santi Magazzù, Antonio Di Lorenzo, Salvatore Ziino, Domenico La Blasca, Filippo Liberto, Salvatore Aiello, Giorgio Zanasi).
Il Tribunale, però, ha ritenuto che la pericolosità sociale di Carmelo Virga non sia più attuale. Bisogna risalire indietro nel tempo fino agli anni Novanta.
Chiusa la vicenda davanti alla sezione misure di prevenzione resta aperto un altro capitolo giudiziario che nasce dalla denuncia presentata dall’avvocato Luca Inzerillo per conto dei Virga alla Procura di Caltanissetta. Secondo la ricostruzione, che si basa sulle intercettazioni confluite nel processo a Silvana Saguto, il sequestro non avrebbe avuto ragione di esistere.
Nel procedimento i difensori hanno contestato la falsità ideologica su cui si baserebbe l’intero provvedimento di sequestro del 2015, ma il Tribunale per le misure di prevenzione non ha accolto l’eccezione di nullità. I Virga hanno impugnato sia questa parte del provvedimento sia la confiscata dei beni di Carmelo Virga.
Sono convinti che da alcune intercettazioni emergerebbe “la leggerezza con la quale era stato adottato il sequestro”. Saguto avrebbe iniziato a esaminare la documentazione del sequestro costituita da migliaia di pagine pochi giorni prima che venisse firmato il decreto di sequestro. Non avrebbe avuto, dunque, il tempo di studiare il caso, ma avrebbe accolto ugualmente la proposta della Direzione investigativa antimafia.