I Virga e il "sequestro bluff": hanno denunciato Silvana Saguto

I Virga e il “sequestro bluff”: hanno denunciato Silvana Saguto

Nei giorni scorsi sono stati restituiti i beni agli imprenditori di Marineo che nel frattempo hanno avviato una nuova battaglia legale

PALERMO – La stragrande maggioranza dei beni è stata restituita pochi giorni fa agli imprenditori Virga di Marineo dal Tribunale di Palermo, ma la battaglia giudiziaria prosegue su due fronti. E sono fronti che incrociano le vicende di Silvana Saguto, ex giudice della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, condannata a Caltanissetta e radiata dalla magistratura. Il processo penale è ancora al primo grado di giudizio.

I Virga, tramite l’avvocato Luca Inzerillo, pochi mesi fa hanno presentato una denuncia alla Procura della Repubblica nissena. Ritengono che il sequestro deciso dalle Misure di prevenzione nel 2015, quando la sezione era ancora presieduta da Saguto, fosse nullo perché si sarebbe basato su un grande bluff.

La vicenda viene anche affrontata nel decreto con cui il Collegio, oggi presieduto da Raffaele Malizia, ha restituito i beni a Carmelo, Vincenzo, Anna, Francesco e Rosa Virga e ai loro figli, ad eccezioni di alcuni immobili e alcune partecipazioni societarie di Carmelo Virga che sono andate in confisca.

Quando scattò il sequestro il patrimonio degli imprenditori era stato stimato in 1,6 miliardi di euro fra impianti di calcestruzzo, imprese edili, aziende agricole, produzione di gas terapeutici ed industriali, ristorazione, immobili. Un valore monstre, il più alto fra i sequestri eseguiti nella storia della misure di prevenzione in Italia, sempre smentito dai Virga e valutato intorno ai 25 milioni di euro.

Per Carmelo Virga, così come per tutti gli altri proposti, è stata respinta la richiesta della sorveglianza speciale perché non sono stati ritenuti socialmente pericolosi. Fu il solo Carmelo Virga a finire sotto inchiesta per mafia nel 2000, ma la sua posizione venne archiviata: non erano stati acquisiti elementi univoci benché, scrivevano i giudici, “avesse avuto nel corso degli anni diverse frequentazioni con personaggi sicuramente appartenenti al sodalizio mafioso”.

Diversi pentiti, tra cui Nino Giuffrè a Giovanni Brusca, dissero di avere avere saputo da Ciccio Pastoia, boss di Belmonte Mezzagno, e Bernardo Provenzano che i Virga di Marineo avevano goduto dell’appoggio della mafia fino ad inserirsi nel patto del tavolino gestito da Angelo Siino, attraverso cui Cosa Nostra controllava gli appalti pubblici. Protezione e aiuto in cambio di tangenti. Elementi che non bastarono per un processo penale, ma che rappresentarono l’ossatura delle indagini patrimoniali.

Secondo il Tribunale, le dichiarazioni erano “convergenti in merito all’inserimento delle imprese dei Virga e specificamente la Comes e la Calcestruzzi San Ciro, sin dalla metà degli anni Ottanta del giro illecito di spartizione degli appalti”. Il solo ad avvantaggiarsene sarebbe stato, però, Carmelo Virga, mentre nulla è emerso per i fratelli Vincenzo, Francesco, Anna e Rosa (erano difesi dagli avvocati Franco Inzerillo, Santi Magazzù, Antonio Di Lorenzo, Salvatore Ziino, Domenico La Blasca, Filippo Liberto, Salvatore Aiello, Giorgio Zanasi). Il Tribunale, però, ha ritenuto che la pericolosità sociale di Carmelo Virga non sia più attuale. Gli ultimi segnali risalirebbero agli anni Novanta.

Nel procedimento i difensori hanno contestato la falsità ideologica su cui si baserebbe l’intero provvedimento di sequestro del 2015, ma il Tribunale per le misure di prevenzione non ha accolto l’eccezione di nullità. I Virga quasi certamente impugneranno il decreto in questa parte. Sono convinti che da alcune intercettazioni emergerebbe “la leggerezza con la quale era stato adottato il sequestro”. Saguto, trascrizioni alla mano, avrebbe iniziato a esaminare la corposa documentazione fatta di migliaia di pagine una manciata di giorni prima che venisse firmato il decreto di sequestro. Troppo poco tempo per avere un quadro completo. “Non ho avuto il tempo di guardarlo, ora parto per una trasferta quando torno, cioè domenica torno, da lunedì comincio a guardarmi le carte”, diceva Saguto.

Da qui la “leggerezza” con cui, secondo i Virga, sarebbe stato applicato il sequestro. Sul punto la sezione Misure di prevenzione ritiene, però, che non sia stato dimostrato che il magistrato non abbia compiuto una valutazione rigorosa.

Ma la questione prosegue in sede penale. Il collegio preceduto Saguto scelse come amministratore giudiziario il commercialista Giuseppe Rizzo. Lo sponsor di Rizzo, secondo i finanzieri, sarebbe stato l’ufficiale della Dia Rosolino Nasca. Saguto è stata intercettata mentre sul conto di Rizzo diceva “è un ragazzetto… non so come farà” e ritenne necessario nominare un coadiutore. La scelta ricadde su Carmelo Provenzano, il docente della Kore, pure lui condannato assieme a Nasca e Saguto.

Secondo i pm di Caltanissetta e i giudici che hanno accolto la richiesta di condanna, la scelta di Rizzo, sponsorizzato da Nasca per amministrare i beni dei Virga, sarebbe stata ricambiata con la promessa di far lavorare nella misura il marito di Saguto, Lorenzo Caramma. Ecco cosa diceva Nasca: “Viene assunto da un’altra, da una terza persona. Punto. Non compare da nessuna parte… lo sappiamo solamente noi due e lo saprà solamente tuo marito, il quale non avrà rapporti con Rizzo…”.

Secondo i Virga, il patto corruttivo non riguarderebbe la solA nomina dell’amministratore, circostanza che ha retto al vaglio dei giudici di primo grado nel processo penale, ma l‘intero sequestro sarebbe stato forzato senza che ce ne fossero i presupposti e senza studiare le carte.

Vicenda strana quella dei Virga. Nel 2013, infatti, erano stati considerati meritevoli di ottenere un beneficio dallo Stato per avere denunciato e fatto condannare gli uomini del racket. Chiesero e ottennero il congelamento, per un anno, dei debiti nei confronti dell’erario e un milione e mezzo di euro da prelevare dal fondo nazionale per le vittime del racket. Poi arrivò il sequestro a bloccare tutto, preceduto per la verità da un’interdittiva antimafia della Prefettura di Palermo. Secondo la Dia, che aveva intercettato Carmelo Virga e propose il sequestro al collegio Saguto, era stato studiato tutto a tavolino per mascherare la scalata imprenditoriale “appoggiata” da Cosa nostra. Di quel sequestro oggi resta ben poco. La stragrande maggioranza dei beni è stata restituita.


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