PALERMO – “I rischi sono molti e imprevedibili”. La Corte dei Conti accende di nuovo i fari sui derivati. E, in un dossier, lancia un monito: “Gli enti dovrebbero adottare doverose iniziative volte alla risoluzione di contratti eccessivamente onerosi”. Altrimenti – avverte la Corte – per gli amministratori c’è “colpa grave”. In particolare, spiegano i magistrati contabili, gli enti che hanno utilizzato i derivati per ristrutturare il debito o farne dei nuovi, possono contare sulle “notevoli aperture” sia del giudice ordinario, che concede la nullità del contratto per mancanza di causa, che, soprattutto, del giudice amministrativo (legittimità dell’annullamento d’ufficio in via di autotutela del contratto potenzialmente dannoso per l’ente). Viceversa, però, “la condotta degli amministratori potrebbe essere censurata sotto il profilo della colpa grave”. E il rischio è alto e diffuso visto che seduti al tavolo verde, in attesa che la pallina della roulette siciliana dei derivati si fermi, ci sono una cinquantina di Comuni e una Provincia (Siracusa).
Sul piatto, sempre secondo un’indagine della Corte dei conti aggiornata però al 31 dicembre 2009, ci sono 63 contratti di Interest Rate Swap per un totale di 750 milioni di euro. Operazioni ad alto rischio perché si basano sull’andamento di altri prodotti come per esempio le azioni (da qui il termine “derivati”), che gli enti locali hanno chiuso nell’ultimo decennio per ristrutturare il debito, prolungarne la scadenza e abbassarne i tassi. E fin qui, non esisterebbe il problema. Se non fosse che il disavanzo complessivo nei bilanci, ridotti ormai all’osso, ha creato forti problemi di liquidità alle amministrazioni locali. Che, nel corso degli anni, hanno così pensato, oltre chiudere contratti di finanza innovativa, di farsi anticipare soldi dalle banche (upfront). Denaro che, ovviamente, deve essere restituito con tanto di interessi facendo accumulare così debito su debito. Cosa non da poco visto che le banche, nel farsi restituire la liquidità anticipata, hanno inserito tassi molto alti creando un problema tale di finanza pubblica da spingere, nel 2008, il ministero dell’Economia a bloccare il ricorso a operazioni di swap.
La scommessa perduta
Gli enti locali, in buona sostanza, hanno firmato contratti scommettendo sull’andamento futuro di azioni, obbligazioni, titoli e quant’altro, ma senza nella maggior parte dei casi avere una reale consapevolezza dell’investimento. Ciò che contava era infatti ottenere liquidità immediata. Al futuro avrebbe pensato qualcun altro (d’altronde si tratta sempre di investimenti a medio-lungo periodo). “La maggior parte dei contratti, ante 2004 – scrivono i magistrati contabili – corrisponde alla tipologia dell’Irs (interest rate swap) con barriera a favore dell’istituto di credito, spesso scalettata su periodicità di brevissimo periodo e vantaggio finanziario sufficientemente sicuro solo per i primi anni di validità contrattuale”. Ma oggi è già futuro e i nodi sono già venuti al pettine.
La bomba derivati
Il rischio è, infatti, che la bomba derivati esploda mandando in tilt i bilanci dei Comuni e della stessa Regione, il cui debito che alla fine dello scorso anno era pari a 5 miliardi di euro è ad oggi assistito per il 23% proprio da operazioni di finanza derivata. In particolare, Palazzo d’Orléans ha in corso, si legge sempre nel documento della Corte dei conti, quattro operazioni in derivati, di cui tre a fronte di mutui contratti con la Cassa deposito e prestiti e una relativa all’emissione obbligazionaria Pirandello, quest’ultima assistita da un sinking fund (cioè un fondo di ammortamento rinegoziato con la Royal Bank of Scotland) a garanzia dei pagamenti alla scadenza. I magistrati specificano anche che “fino al 2007 lo scambio dei flussi finanziari ha assicurato alla Regione un differenziale positivo”. Dal 2008 in poi, però, su alcune operazioni si sono registrati differenziali negativi pari a 47,7 milioni. Ragion per cui, secondo la Corte, sarebbe opportuno adottare “specifici strumenti di protezione, sin qui non predisposti, a tutela delle finanze regionali”.
“Di criticità ce ne sono molte e sono note da tempo – spiega Raffaele Mazzeo, esperto di strumenti derivati che attualmente fa parte del gruppo Oic-derivati, l’Organismo italiano contabilità – ed è per questo che diventa importante trovare una soluzione che consenta, in un momento di crisi come questo e di limitazioni nella capacità finanziaria degli enti, delle soluzioni per alleggerire l’onere finanziario collegato a questi strumenti. E questo significa cercare un dialogo costruttivo con le banche per rinegoziare le condizioni o chiudere anticipatamente i contratti”.
Intanto a fine 2009, 25 comuni e una provincia (Agrigento), hanno estinto 29 contratti. E nel corso del 2010, 13 Comuni hanno chiuso, prima della scadenza, ulteriori 16 contratti.
“I contenuti del dossier della Procura generale della Corte dei Conti sulla situazione relativa al ricorso ai cosiddetti ‘derivati’ – afferma Guido Castelli, responsabile finanza locale dell’Anci – appaiono ampiamente condivisibili. E lo testimonia il fatto che, negli ultimi tre anni il numero di Comuni impegnati nella gestione di derivati si è ridotto da 604 a 215 (389 enti in meno), anche grazie alla tempestiva attivazione, da parte dell’Anci di un servizio di assistenza interamente incentrato sui derivati. Laddove le condizioni contrattuali lo consentono, le amministrazioni locali stanno uscendo da contratti eccessivamente onerosi tanto che oggi i Comuni sono il comparto meno interessato dal problema. In questa situazione – conclude Castelli – l’auspicio è comunque quello che nella prossima legislatura vengano posti in essere tutti gli strumenti utili per portare a compimento quelle azioni che consentano di gestire questi strumenti finanziari, con minori oneri per i bilanci comunali”.
Nell’attesa, per tutti vale comunque l’avvertimento della Corte dei Conti: risolvere i contratti o rispondere di “colpa grave”.
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