La casa di Benedetto Santapaola, in via Giorgio De Chirico nella collina di Cerza a San Gregorio, è quasi perfetta. Sembra che qualcuno abbia traslocato da qualche settimana. Non pare proprio che l’appartamento sia vuoto da decenni. Nonostante siano passati 23 anni dalla confisca definitiva, il bellissimo parquet è ancora lì intatto. “Ma chi oserebbe danneggiare la casa di Nitto?”, sussurra qualcuno visitando le stanze di quella che fu l’abitazione del capo dei capi di Cosa nostra catanese. Al muro c’è ancora un crocifisso. La moglie era molto religiosa. Aveva chiesto anche l’aiuto di alcuni prelati per tenere lontano dalla ‘strada del padre’ i due figli maschi. Ma le preghiere sono servite a poco, almeno per il primogenito Vincenzo che è condannato per mafia e ora rischia una condanna per l’omicidio del cugino Angelo Santapaola. La ‘religione’ è un denominatore comune nella vita privata del boss. Quella croce appesa ricorda la cappella che i poliziotti trovarono nel suo covo da latitante nel 1993 nelle campagne silenziose di Mazzarrone, nel calatino. Da quel giorno Nitto Santapaola, classe 1938, è dietro le sbarre. Non è mai uscito. Solo nel settembre del 1995 ha potuto respirare qualche ora di libertà (ma anche dolore), quando nell’hangar dell’aviazione ha dato l’ultimo saluto alla consorte Carmela Minniti, ammazzata proprio nel tempio borghese della palazzina di Cerza. Quella zona attorno al portone d’ingresso della casa non presenta nessun graffio, tranne la polvere del tempo. Quasi fosse un luogo da preservare. Non hanno toccato nemmeno la lastra di costoso marmo del bancone bar fatto su misura nell’angolo della casa dove c’è una scaletta che dà al piano di sotto, dove ora ci sono i banchi delle scuole del Comune di San Gregorio ma che una volta – dicono i beneinformati – la famiglia avrebbe organizzato momenti conviviali. Ma Nitto adorava la ‘socialità’. Amava confondersi tra i potenti, facendosi fotografare con sindaci, politici e prefetti, i figli frequentavano le scuole della ‘Catania bene’. Il volto turpe del mafioso era riservato ai sodali e soprattutto ai nemici, ma tra le strade catanesi fino agli inizi degli anni Ottanta sfoggiava la faccia del commerciante d’auto. E aveva rapporti consolidati con gli imprenditori più influenti della Sicilia orientale, i quattro cavalieri. Con uno di loro avrebbe anche condiviso battute di caccia. La casa di via De Chirico è la plastica trasposizione della mafiosità di Nitto Santapaola. Se non sapessimo chi ha vissuto qui dentro, sembrerebbe l’abitazione di qualsiasi professionista catanese. Una dimora senza fasti ma con gusto sobrio. Lontana, anzi lontanissima, da altre abitazioni visitate dopo la confisca: dove predomina ostentazione e scelte kitch. “Questo è un luogo di morte”, ha detto Claudio Fava qualche settimana fa visitando la casa. Forse il presidente della Commissione Antimafia regionale ha ragione. Tra queste pareti Nitto, forse, ha pianificato omicidi, stragi, golpe mafiosi, ritorsioni, regolamenti di conti. Ma parallelamente ha programmato la scalata grigia, indossando giacca e cravatta e sedendo nei salotti istituzionali e imprenditoriali. Un modello criminale lontano dall’idea corneolense di attaccare frontalmente lo Stato. Nitto Santapaola ha sempre capito che lo Stato andava corteggiato, adulato, conquistato. Non la lupara, ma la diplomazia mafiosa. Totò Riina però è servito molto a Nitto Santapaola. Gli è servito ad avere il lascia passare per prendere lo scettro e sedere nel trono del ‘padrino’ di Catania. Ma il sangue stragista ha cercato di tenerlo lontano dalla sua Catania dove faceva affari e accumulava ricchezze. Una parte di quel tesoro è stato confiscato da poco tempo dal Ros, partendo dalle indagini dell’operazione Samuel che è riuscita a ricostruire la filiera dei soldi sporchi di Nitto Santapaola, del ‘nipote’ Aldo Ercolano (il killer del giornalista Pippo Fava) e della famiglia Mangion. A quasi 30 anni dalla sua cattura, il suo potere (forse indiretto) è ancora fortissimo alle falde dell’Etna. Per le baby leve della mafia – che vivono nei quartieri svuotati dalle istituzioni senza alternative – è diventato il falso mito. L’eco del nome del boss – ultraottantenne, diabetico e recluso al 41bis – purtroppo è ancora forte. Troppo forte.
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Nella foto: Da sinistra- Rosario ‘Franco’ Romeo (ucciso in un agguato), Nitto Santapaola e Salvatore Coco, sindaco di Catania dal 1978 al 1982