PALERMO – “… su parenti di Messina Denaro… un si ponnu tuccari completamente sti famigli”, dicevano gli imprenditori del settore ittico Carmelo e Angelo Giannone, arrestati su richiesta del procuratore antimafia di Caltanissetta Amedeo Bertone e dell’aggiunto Lia Sava. Il latitante se ne sta nascosto chissà dove. Non arrivano suoi segnali dal territorio. Poco importa, basta evocarlo per ottenere rispetto e fare affari.
Quel “non si possono toccare” era riferito ai Guttadauro, imparentati con il latitante di Castelvetrano. Quando Filippo Guttadauro, figlio di Giuseppe, capomafia di Brancaccio, andò a discutere del business del pesce a Marzamemi, lo accolsero a braccia aperte. Erano i Giannone a raccontare, senza sapere di essere intercettati, che nel borgo del Siracusano si erano detti pronti ad ospitare “u latitanti”, a dargli riparo “un misi mucciatu drocu a Marzamemi (un mese nascosto a Marzamemei)”.
Messina Denaro non c’è, ma è come se ci fosse. A volte, quando c’è di mezzo il latitante, si ricevono soffiate. L’agente dei servizi segreti Marco Lazzaro diceva all’avvocato Giandomenico D’Ambra “ti devi allontanare dallo zio per un periodo”. Aveva saputo da una talpa che “… non è nulla di importante, è solo un’attenzione… capito per il noto che stanno cercando giù, si son n’cafoniti, perché, poi ti spiego a voce,… tanto ci vediamo ah… si sono n ‘cafoniti e dagli anni 80 fino ad adesso hanno… vogliono controllare tutti capito”.
L’invito a stare in guardia era arrivato pure all’orecchio di Rinzivillo che se davvero fosse stato in contatto con Messina Denaro ci sarebbe la conferma che il latitante si nasconde lontano dalla sua Castelvetrano. Non potrebbe essere altrimenti, visto che Rinzivillo pochi mesi dopo la soffiata, in agosto, organizzò degli incontri proprio a Castelvetrano. Non temeva di essere seguito, né di mettere nei guai il padrino trapanese.