PALERMO – “È ormai un dato storico. Non ho avuto a che fare, neppure di striscio, con tutta questa faccenda”. La faccenda è quella di Calciopoli. A parlare è stato Stefano Cassarà, ex arbitro palermitano travolto dallo scandalo sulle partite truccate dalla presunta cricca – la sentenze non sono ancora definitive – targata Luciano Moggi e Antonio Giraudo. Quest’ultimo, ex amministratore delegato della Juventus, ieri è stato l’unico condannato del processo d’appello di Napoli. Per tutti gli altri – arbitri compresi – è arrivata l’assoluzione. Nel caso di Cassarà si è trattato di una conferma, visto che era già stato scagionato in primo grado. L’ex fischietto palermitano chiuse la carriera nella stagione 2005-2006. All’attivo una cinquantina di direzione in Serie A e duecento in B. Una carriera importante macchiata un anno dopo, nel 2007, dallo scandalo Calciopoli.
Lei è uscito pulito da un processo che ha cristallizzato l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Ripensando a quegli e alla luce dei processi non si era accorto di nulla?
“Non ho avuto segnali anche perché se li avessi percepiti li avrei subito denunciati. Sono stato educato ai valori dello sport che non ho mai tradito. Attenzione, vedevo che le cose non seguivano la meritocrazia, ma non percepivo che ci fosse un’organizzazione sotto”.
Sta dicendo che avrebbe potuto fare una carriera più prestigiosa?
“Guardi, credo che il mio sia un esempio unico nella storia del calcio. Ho subito una sospensione con tanto di comunicazione ufficiale. Solitamente nella nostra categoria i provvedimenti venivano tenuti nascosti. L’arbitro sapeva che non sarebbe sceso in campo ma non il motivo. Nel mio caso è andata in maniera diversa”.
Si è chiesto il perché?
“Mi ero scontrato con un direttore sportivo allora vicino a Moggi. Ma ho saputo solo anni dopo che poteva essere questa la causa di tutta questa faccenda che per quanto mi riguarda è stata paradossale”.
Paradossale in che senso?
“Le racconto una cosa che la dice lunga. Sono l’unico arbitro che, pur commettendo errori sul campo che hanno agevolato la Juve, non l’ha mai più incrociata. Eppure mi hanno associato a loro. È assurdo. Come uomo ho subito una violenza che mi ha fatto allontanare dal mondo del calcio. Il dolore, visto che nella vita ce ne sono di più gravi, può essere metabolizzato, ma la delusione è una macchia incancellabile”.
Non segue più il calcio come prima, ma non le sarà sfuggito che le polemiche sono le stesse di sempre. Ad ogni volta errore arbitrale si materializza lo spettro Calciopoli
“Gli errori ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre. Il problema è un altro…”.
Quale?
“Non mi sembra che il sistema calcio dopo lo scandalo abbia fatto ammenda totale. Sono emerse responsabilità personali, ma non credo che si sia parlato del malfunzionamento del sistema. Non c’è stata un’analisi critica generale”.
Cosa non ha funzionato nel sistema calcio?
“È difficile dirlo dopo che gli arbitri sono stati travolti. Ripeto, travolti, Secondo me, sarebbe necessario preservare l’autonomia gestionale della classe arbitrale, renderla indipendente dalla Federazione. È assurdo che il presidente della Federazione interagisca con il designatore. Agli arbitri è mancata una sorta di schermatura. Chi doveva frapporre una diga non lo ha fatto”.
In tanti ritengono che alla fine, a pagare, sia stata solo la Juventus. Sono tutti bianconeri sfegatati oppure hanno davvero ragione?
“Alla luce delle emergenze processuali ritengo che si potesse fare di più e chissà perché l’attenzione si è focalizzata e individualizzata sulla Juventus. Il malcostume non indossava la maglia di un solo colore. Diciamo che c’erano tutte le sfumature del grigio per dirla usando il titolo di un libo fra i più letti del momento. Da Nord a Sud, da Est a Ovest”.
Un argomento che tiene banco nel mondo del calcio è il numero degli scudetti assegnati alla Juve. Secondo lei, al netto di Calciopoli, sono 30 o 28?
“Le confesso che non è un argomento che mi appassiona. Certo, io sono convinto che il campo non menta mai, ma se esistono delle regole allora vanno rispettate. Se è stato stabilito che sono 28 allora sono 28”.
Posso chiederle di cosa si occupa oggi?
“Lavoro nel mondo delle assicurazioni e ho più tempo di stare a casa con i miei figli di quanto ne avessi quando facevo l’arbitro”.
E se suo figlio le manifestasse il desiderio di fare l’arbitro?
“Non sono certo che favorirei la sua scelta, ma lo lascerei comunque libero”.
Ci fa il nome di un giovane arbitro palermitano di cui sentiremo parlare in futuro?
“Francesco Saia. Merita di fare il salto dalla Lega pro ai campionati professionistici”.
In conclusione, nonostante la sofferenza c’è qualcosa che salverebbe in tutta questa faccenda?
“Le persone che mi sono state vicine. Ne cito una su tutte. Sono orgoglioso di avere conosciuto Ninni Reina. E’ il mio avvocato, ma è soprattutto un grande uomo. Vorrei che lo scrivesse. Ci tengo”.