Caltanissetta, affari d'oro sulla pelle dei 'migranti da buttare a mare'

Affari d’oro sulla pelle dei “migranti da buttare a mare”

Chi sono i siciliani coinvolti nel blitz della polizia

Gente pronta a tutto. Anche a disfarsi dei migranti gettandoli in mare, in balia delle onde. Un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta sfocia in 18 ordinanze di custodia cautelare. Dodici persone sono state arrestati, altri sei sono ancora irreperibili.

Un’associazione specializzata nella tratta di migranti dalla Tunisia aveva la base operativa a Niscemi, dove viveva una coppia di tunisini, ma c’erano ramificazioni ad Agrigento, Trapani e Ragusa.

Le microspie piazzate dai poliziotti della squadra mobile nissena, diretta da Nino Ciavola, hanno registrato parole agghiaccianti. “… nga pacienza restavanu a peri… ma importante che biavanu a chiddi a mare”, diceva l’imprenditore agricolo Giovanni Bartoluccio mentre parlava con Gaetano Vigna (entrambi di Niscemi, finiti in carcere). Vigna rispondeva: “Ma macari che bii a chiddi a mari… ma restari a peri…”.

Accogliendo la ricostruzione della Procura guidata da Salvatore De Luca, il giudice per le indagini preliminari David Salvucci scrive che “la pericolosità degli odierni indagati emergeva in maniera agghiacciante dalle stesse parole di Bartoluccio che si rammaricava del fatto che comunque non avevano imbarcato i migranti perché anche se fossero rimasti senza carburante avrebbero potuto buttarli a mare”.

In meno di quattro ore piccole imbarcazioni con potenti motori coprivano la tratta dalla Tunisia. Dalle città di Al Haouaria, Dar Allouche e Korba partivano alla volta delle coste siciliane da 10 a 30 persone per volta, ammassate accanto ai cartoni pieni di sigarette di contrabbando.

«Io sono Akrem figlio di Beya il più grande trafficante tra Tunisi e l’Italia», si vantava il capo Akrem Toumi. Si trovava agli arresti domiciliari dopo una condanna a 6 anni e 8 mesi che gli era stata inflitta su richiesta della Procura di Palermo.

Ogni migrante pagava tra i 3 mila e i 5 mila euro. Bastavano “un po’ di colpi buoni, faccio 300 mila euro così recupero i miei soldi e vado in Francia”, aggiungeva Akrem, che al sua fianco aveva la fidanzata Sarra Khaterchi, anche lei arrestata. “Con la volontà di Dio andrà tutto bene“, ripeteva spesso.

I clienti non mancavano. Persone disposte a tutto per cercare una vita migliore. “Guarda che ci sono pure quelli che per partire hanno venduto le loro terre – diceva un altro componete della banda -… un ragazzo mi ha dato 2000 euro e ora sta seduto, sta aspettando… gli ho detto che deve stare calmo (e mentre lo diceva rideva). C’è chi piange, chi urla, chi litiga, chi ha sua madre che ha venduto la casa“.

Una volta sbarcati sarebbero entrati in gioco i siciliani che avrebbero offerto supporto logistico. Bartoluccio, considerato uno dei capi, metteva a disposizione la sua azienda agricola, a Gela, come base operativa. Se serviva assumeva anche fittiziamente i migranti. Al suo fianco lavorava spesso Vigna.

Ai domiciliari finiscono Giuseppe e Salvatore Militello, Franco Reale e Giacomo Rinaudo.


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