PALERMO – Un “uomo riservato al servizio diretto” del latitante. Il gip Alfredo Montalto non ha dubbi: Andrea Bonafede, il geometra di Campobello di Mazara che prestò la sua identità a Matteo Messina Denaro, faceva parte della cerchia strettissima del padrino corleonese.
Sono pesantissime le parole usate nell’ordinanza di custodia cautelare che ha spedito Bonafede in carcere, su richiesta del procuratore Maurizio de Lucia, dell’aggiunto Paolo Guido e del sostituto Pierangelo Padova della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. “Si è in presenza, in sostanza, sia pure, in termini di gravità indiziaria di un’affiliazione verosimilmente riservata di Bonafede per volontà del Messina Denaro”, si legge nel provvedimento.
I documenti che inguaiano Bonafede
Accolta su tutta la linea, quindi, la posizione della Dda di Palermo, che non ha creduto alla difesa di Bonafede, formale proprietario dell’immobile di via Cb31 dove il Ros ha scoperto oggetti, appunti, lettere e documenti con cifre in entrata e uscita annotate da Messina Denaro.
Bonafede, 58 anni, davanti ai magistrati ha cercato di minimizzare il suo ruolo sostenendo di aver visto il boss due volte e solo di recente. A pesare, però, sono soprattutto quei documenti (carta d’identità e tessera sanitaria) grazie ai quali Messina Denaro usufruì delle cure mediche. Montalto osserva: Messina Denaro potè usare l’identità fornitagli da Bonafede per due interventi chirurgici: il 13 novembre 2020 all’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo e il 4 maggio 2021 alla clinica La Maddalena di Palermo.
Smentita la sua versione
Smentito, quindi, quanto raccontato dal geometra che ha riferito agli inquirenti di avere incontrato l’ex latitante solo nel 2022. Gli chiese prima i documenti per potersi curare e poi di intestarsi la casa rifugio, pagata con 15 mila euro che gli diede il latitante. Bonafede versò il denaro sul suo conto corrente postale e poi firmò un assegno circolare per comprare la casa.
“Non è, inoltre, di certo minimamente credibile – ancora il gip – che il latitante notoriamente più pericoloso e più ricercato d’Italia si sia ad un certo momento affidato ad un soggetto occasionalmente incontrato, non affiliato e che non vedeva da moltissimi anni, per coprire la sua identità, soprattutto nel momento in cui aveva necessità di entrare in contatto con strutture pubbliche sanitarie, oltre che per acquistare l’immobile ove per un periodo di almeno sei mesi e fino all’arresto ha poi dimorato”.
Gli ha fornito due auto
Ed è sempre Bonafede ad avere fornito due auto al latitante. Oltre alla Alfa Romeo Giulietta, finita sotto sequestro, il latitante usava anche una Fiat 500 L , poi data in permuta alla concessionaria di Palermo. Passaggi ricostruiti grazie alla “meritevole segnalazione” del titolare della concessionaria.
La storia gioca contro di lui
A giocare contro Bonafede è anche la storia delle latitanze più recenti: “L’esperienza dell’arresto di tutti i più importanti latitanti di Cosa nostra – spiega il giudice – peraltro, insegna che i soggetti di vertice di tale organizzazione, per evidenti ragioni di sicurezza personale, tendono ad escludere dalla conoscenza del covo ove da latitanti si rifugiano persino la gran parte degli associati mafiosi, limitando, piuttosto, tale conoscenza ad una cerchia più ristretta e più fedele di coassociati”. Un quadro reso ancora più grave dal pedigree di Bonafede: “Ha un’estrazione familiare compatibile con il ruolo di partecipe dell’associazione mafiosa” dal momento che è il nipote di Leonardo Bonafede, “già ‘reggente’ proprio della ‘famiglia’ mafiosa di Campobello di Mazara che ha protetto, quanto meno negli ultimi anni, la latitanza dello stesso Messina Denaro – ricostruisce il gip – consentendogli di svolgere appieno il ruolo di capo indiscusso della consorteria di Cosa nostra nella provincia di Trapani”.