Carini, il "comitato" di Cosa Nostra controlla sub appalti e rete idrica

Il “comitato” dei boss si riuniva al bar: le mani su sub appalti e rete idrica

Così il figlio del boss si era seduto "sopra il cavallo"

PALERMO C’era un “comitato” a Carini che gestiva il potere mafioso. Il bastone del comando sarebbe passato di padre in figlio. Da Giovan Battista Pipitone, boss ergastolano, a John (uno dei cinque arrestati del blitz dei carabinieri) perché “il posto l’hanno preso i figli… si misiru supra u cavaddu“. Oggi Pipitone finisce in carcere su richiesta del procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dell’aggiunto Marzia Sabella.

In fila dal boss

Carmelo Cacocciola, a giudicare dalle parole pronunciate, dimostrava di conoscere bene le dinamiche mafiose. Fino al 2018 era un insospettabile venditore di materiale edile, poi sarebbe stato condannato. C’era anche il suo nome nelle carte giudiziarie che tracciarono la stagione della convocazione della nuova cupola di Cosa Nostra. I boss, oggi tutti arrestati, si riunirono in una casa a Baida. A rappresentare il mandamento di San Lorenzo c’era Calogero Lo Piccolo, figlio di Salvatore e fratello di Sandro, capimafia ergastolani.

A Carini, una delle famiglie che compongono il mandamento di San Lorenzo, le decisioni importanti spettavano a Pipitone jr. A lui sui è rivolto un uomo che chiedeva di essere autorizzato a realizzare una piantagione. “Siccome io a Carini voglio fare qualche cosa di mio, nel mio terreno, delle cose”, aveva bisogno di parlarne con “il figlio di Giovanni…”. Cacocciola invitava alla prudenza perché “per ora c’è confusione… in giro e sono tutti, tutti molto attenzionati…“.

Il comitato e il ristoratore

Sapevano di essere sotto controllo, eppure si riunivano “come se nulla fosse”. “Allora ti do una dritta tutte le domeniche dalle nove e mezza a mezzogiorno, tutte le domeniche c’è tutto il comitato al Johnny Walker”, aggiungeva Cacocciola. Il locale, situato all’ingresso del paese nella rotonda all’uscita dell’autostrada A29, l’anno scorso è stato demolito. Dieci anni fa era stato sequestrato.

Un noto ristoratore palermitano fu autorizzato da Pipitone a spendere il nome della “famiglia” durante un incontro con una persona che aveva cercato e trovato, a sua volta, uno sponsor mafioso in Salvatore Genova, boss di Resuttana. “Io gli volevo dire se tu me lo consenti: ‘io ho messo, io ho messo al corrente la mia famiglia di come stanno le cose'”, suggeriva il ristoratore che, ricevuto il via libera, mostrava riconoscenza (“Siamo franchi come tu, tuo padre che siete tutta la vita ad aiutare i cristiani”).

Subappalti al Rimed

Tutti riconoscevano l’autorità di Pipitone, anche il piccolo imprenditore edile che nel 2018 si premurò di ottenere l’autorizzazione del capomafia per concludere un accordo con un’altra impresa e lavorare in subappalto nel cantiere dove oggi è in corso la costruzione del Centro per le biotecnologie e la Ricerca biomedica della fondazione Ri.Med. Salvatore Abbate, considerato il braccio destro di Pipitone, spiegava: “A partire questa cosa partirà, ma io non ci sono più… e quando questa cosa parte è tipo l’Ucciardone quando c’è il blindato che gira diciamo a circonferenza…”.

La nota della Fondazione

“Nell’ambito del protocollo di legalità con la Prefettura, la Fondazione Ri.Med è a disposizione delle autorità per fornire ogni informazione ritenuta utile nei riguardi dell’impresa citata nelle notizie di stampa sull’inchiesta antimafia a Carini”, fa sapere all’Ansa la Fondazione.

“E che è questo? Non è pizzo?”

Pipitone è stato anche intercettato mentre ordinava a Salvatore Abbate di rintracciare il proprietario di un terreno sul cui valore della vendita – un milione e trecento mila euro – avrebbero preteso ventimila euro di mediazione. O meglio di pizzo, così lo definiva l’uomo costretto a pagare in un dialogo intercettato. “E paghiamo il pizzo che dobbiamo fare…”, diceva. Abbate non gradiva: “il pizzo stai pagando? Proprio che bella frase usi…”. “E che è questo? Non è pizzo?“.

Acqua e minacce

Il potere veniva esercitato anche offrendo un servizio prezioso. Negli anni è stata realizzata una condotta idrica capace di servire 115 famiglie che comprano l’acqua a caro prezzo. La gente paga sotto minaccia. In tanti “hanno tentato di proteggere il capomafia John Pipitone e il suo sottoposto Abbate – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Fabio Pilato – sottacendo che controllassero la distribuzione dell’acqua per uso civile a 115 famiglie, ricavandone peraltro ingentissimi proventi illeciti”.


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